Le esultanze dei calciatori sono sempre state uno degli aspetti più divertenti e talvolta anche controversi del calcio. Un momento che va ben oltre il gol, il quale si trasforma in un linguaggio universale che parla a tifosi, avversari e, non da ultimo, alla telecamera. Se un gol è il culmine di una tensione accumulata, l’esultanza è il suo sfogo, il brivido di chi ha appena scritto il proprio nome nella storia di una partita. Ma come si è evoluto il modo di festeggiare un gol?

Ricordiamo le esultanze iconiche, quelle che sono entrate nell’immaginario collettivo come simboli non solo di un gol, ma di un’epoca. Chi non ha in mente la “pazzia” di Tardelli al Mundial del 1982, quando dopo il suo splendido gol contro la Germania, corse a braccia aperte come se fosse riuscito a scoprire l’arcano del calcio? Quell’urlo, quella corsa, quel gesto sono diventati leggenda, trasmettendo un’emozione pura che ogni tifoso ha interiorizzato come parte di quella vittoria mondiale. E non possiamo non pensare a Diego Maradona, la cui esultanza dopo il famoso gol contro l’Inghilterra nel 1986 è un pezzo di storia del calcio: il “pugnetto” verso il cielo, il simbolo di un campione che sa di aver scritto un pezzo indelebile di leggenda.

Negli anni successivi, l’esultanza ha preso forme sempre più creative. Si è passati da semplici corse verso il pubblico a vere e proprie coreografie, come quella di Pierre-Emerick Aubameyang, che ha lanciato la sua esultanza in stile “giraffe” al Borussia Dortmund. E che dire della “robo-dance” di Crouch? Un gesto che più di tutti ha reso chiaro che il calcio non è solo tecnica, ma anche show e intrattenimento. Ma forse la più memorabile per originalità resta quella di Cristiano Ronaldo, che ha combinato l’eleganza del gesto con l’esplosività dell’emozione. Il suo “Siiii” urlato con le braccia spalancate, un segno di dominio assoluto, è diventato il marchio di fabbrica di un campione capace di dominare in campo e fuori.

Oggi, però, il panorama delle esultanze sembra essersi un po’ “appiattito”. La creatività che un tempo animava il campo sembra aver lasciato spazio a gesti più “moderati” o, in alcuni casi, fin troppo ripetitivi. I calciatori, pur mantenendo un certo fervore, sembrano preferire esultanze più contenute, spesso limitandosi a correre verso la telecamera e a fare una sorta di “dialogo” con essa, lanciando occhiate cariche di significato. La generazione dei “selfie” e dei social media ha infatti spostato l’attenzione dalle emozioni sfrenate del gol a una comunicazione che voglia più essere condivisa, come un messaggio subliminale rivolto al proprio seguito. Il “parlare alla telecamera” è diventato il nuovo modo di interagire con il pubblico. Non più corse scatenate, ma occhi che scrutano l’obiettivo, consapevoli che ogni gesto in campo può essere ripreso, condiviso e commentato in tempo reale.

Eppure, questo ritorno alla semplicità non deve essere visto come una perdita, ma come un’evoluzione. Il calcio è cambiato, e con esso anche la sua espressione. Oggi l’esultanza non è più solo un atto di gioia, ma anche un modo per costruire un legame diretto con la propria base di fan. Le esultanze dei calciatori sono diventate il loro “linguaggio del corpo” verso i tifosi, un modo per dire “ci sono, vi sento” in un mondo dove tutto è sempre più digitalizzato.

Ma noi, tifosi romantici, che ci ricordiamo ancora della corsa di Tardelli e dell’urlo di Maradona, non possiamo fare a meno di chiedere: dove sono finite quelle esultanze epiche, quelle che ti facevano sentire parte di qualcosa di unico? Forse, un po’ di follia, di creatività e di quel “sentirsi vivi” non guasterebbe nemmeno oggi.

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