C’era un tempo in cui la traiettoria secca di un tiro da fuori area era la soluzione più democratica del calcio: nessun bisogno di triangoli, superiorità numerica o corse in profondità. Bastava un pallone che rimbalzava al limite, un piede educato e un coraggio fuori dal comune. O, più spesso, il desiderio di sorprendere, rompere lo spartito. Oggi, però, quei tempi sembrano finiti. Nel calcio moderno, tirare da fuori è diventato quasi un atto di disobbedienza tattica. Ma com’è successo?

 

Il calo nei numeri: l’evidenza statistica

Secondo un’analisi pubblicata da Undici nel marzo 2024, nella stagione 2009/10 il 45% dei tiri in Premier League proveniva da fuori area. Oggi siamo al 32,9%. In Serie A, la percentuale è calata dal 49% al 37%. In Bundesliga e Ligue 1 le cifre sono simili, con una flessione costante su base annua. Ma non si tratta solo di tiri. Anche i gol segnati dalla distanza sono crollati. In Serie A 2023/24, solo il 9,1% delle reti è arrivato da fuori area. Dieci anni prima, erano il 15,3%.

Questi numeri segnalano una trasformazione strutturale. Non è una moda passeggera, ma il frutto di un’evoluzione profonda del gioco, a tutti i livelli: tecnico, tattico, culturale.

 

Gli expected goals e l’economia del rischio

Il primo colpevole, in ordine cronologico, è il dato degli Expected Goals.

Negli ultimi dieci anni, i modelli xG hanno avuto un impatto enorme nel modo in cui il calcio viene interpretato. Un tiro da fuori ha generalmente un valore xG molto basso: tra 0.02 e 0.05. Questo significa che su 20 tiri, statisticamente, ne entra uno. Un tiro da dentro l’area piccola? Anche 0.3 o 0.4 di xG. Sei, sette volte più probabile che finisca in rete.

Allenatori, analisti e direttori sportivi lo hanno capito molto bene. Perché sprecare un possesso con un tiro velleitario da 25 metri, quando si può continuare a costruire per cercare una chance più pulita, più redditizia? Il calcio moderno è diventato, anche, una questione di efficienza. E i tiri da fuori sono poco efficienti, almeno secondo la nuova grammatica analitica.

 

L’impatto tattico: dal tiki-taka al pressing

Parallelamente all’avvento dei dati, anche l’evoluzione tattica ha giocato un ruolo decisivo. Con il dominio delle squadre di posizione — Guardiola e i suoi epigoni — il calcio ha privilegiato la costruzione lenta, il dominio dello spazio, l’attacco posizionale. In questo contesto, il tiro da fuori è una rottura della struttura, una giocata “fuori spartito”. Un rischio che molti allenatori non vogliono correre.

Il pressing alto, poi, ha reso più difficile trovare tempo e spazio per calciare. Oggi i centrocampisti ricevono palla con un uomo addosso, e i difensori centrali leggono prima il corpo orientato al tiro che la possibilità di un filtrante. Solo i migliori riescono a trovare il tempo per calciare, e anche loro sono spesso costretti a forzare.

 

Il fattore portieri e la preparazione difensiva

Anche l’evoluzione dei portieri ha inciso. Oggi la tecnica dei numeri uno è più raffinata, la preparazione atletica più completa, la capacità di lettura più precoce. Molti allenatori preparano i propri portieri proprio su queste situazioni: posizione avanzata per accorciare lo specchio, lettura della parabola, reattività sulle conclusioni.

In parallelo, anche le difese si sono adattate. I giocatori schermano meglio la zona di tiro, i blocchi compatti a protezione della trequarti funzionano da deterrente. Il limite dell’area è una terra di mezzo ipercontrollata, una “zona morta” da cui è difficile liberare un tiro pulito.

 

L’impoverimento tecnico?

C’è chi sostiene che la scomparsa del tiro da fuori sia anche un segnale dell’impoverimento tecnico di certi ruoli.

I centrocampisti box-to-box sono meno frequenti, i registi hanno più compiti di rifinitura che di finalizzazione, e gli incursori — i vari Stankovic, Nainggolan, Lampard, Gerrard — sono un ricordo lontano. Oggi il centrocampista è prima di tutto ordinato, geometrico, posizionale. Il rischio, anche tecnico, è che non sappia più “spaccare la porta”. Certo, restano le eccezioni: Barella, Reijnders, Koopmeiners, Zielinski, Tonali prima della squalifica. Ma sono figure minoritarie.

E forse non è solo questione di piedi. È una questione di contesto: di libertà, di rischio, di licenza.

 

Il fascino del tiro da fuori e il suo significato simbolico

Il tiro da fuori era anche una questione di identità. Una dichiarazione d’intenti. Un modo per dire: “non servono 35 passaggi se puoi colpire ora”. Era l’arma dell’imprevedibilità, della frustrazione, della sfida. Un atto di insubordinazione.

Pensiamo a Pogba, al suo modo di caricare il destro con un gesto teatrale, oppure a Cristiano Ronaldo nei primi anni a Manchester. O ancora a Recoba, Seedorf, Stankovic, Gerrard, Riquelme. Erano giocatori che non solo potevano, ma dovevano tirare da fuori. Era parte del loro DNA.

Oggi questa componente simbolica è scomparsa. E forse, con essa, un pezzo del romanticismo del calcio.

 

Un uso selettivo? Le nuove frontiere del tiro da fuori

Tuttavia, non tutto è perduto. Alcuni analisti suggeriscono un uso strategico del tiro da fuori. Non come soluzione primaria, ma come variante. In contesti in cui la difesa è particolarmente bassa, dove l’area è intasata, o per sorprendere un portiere troppo alto.

Un esempio? Il Napoli di Spalletti, che nel 2022/23 ha segnato 12 gol da fuori area. Non per caso, ma per scelta. Zielinski, Lobotka, Kvaratskhelia erano tutti abili nel liberarsi e calciare. Un’arma usata con saggezza, mai con insistenza. Un altro esempio è la Serie B italiana: meno organizzazione, più caos, più spazio per provare. E più tiri da fuori.

 

Il tiro da fuori è un’arte in via d’estinzione?

Probabilmente sì, ma non è detto che debba sparire del tutto. Nel calcio delle percentuali, delle simulazioni, dell’ottimizzazione ossessiva, il tiro da fuori è un gesto quasi anarchico. Ma proprio per questo, oggi più che mai, può fare la differenza. Non per frequenza, ma per qualità. Non per quantità, ma per imprevedibilità.  Forse il futuro del tiro da fuori sta nella selettività — e nel talento.

In quei giocatori capaci di riconoscere il momento, di leggere lo spazio, di colpire con coraggio e precisione. Non sarà mai la soluzione dominante. Ma potrà ancora essere quella decisiva.

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