Riprendo questo editoriale apparso sul sito The Athletic sul tema arbitri, sospetto e corruzione.

 

Slavko Vincic, seduto sul volo di ritorno per Lubiana, probabilmente si è chiesto se un arbitro sloveno di 45 anni possa mai sentirsi come Jason Bourne, Eliot Ness o – forzando un po’ la metafora – Batman. Missione compiuta, nessun errore, nessun nemico giurato (forse), un match completato senza troppi strascichi.

Il suo compito? Dirigere il derby intercontinentale tra Galatasaray e Fenerbahçe, una delle partite più infuocate del calcio mondiale. Il dettaglio che lo rende storico: Vincic è stato il primo arbitro straniero a fischiare in una gara di Super Lig turca da oltre cinquant’anni. E, considerato il clima incandescente che lo circondava, può dirsi soddisfatto: un 0-0 senza espulsioni, sette ammonizioni e un match portato a termine nonostante il lancio di fumogeni dagli spalti e una rissa tra staff tecnici.

Eppure, dietro alla scelta di affidarsi a un arbitro esterno, si nasconde qualcosa di più profondo. Non un gesto innovativo, non un modello da seguire, ma un segnale d’allarme. Una testimonianza di quanto il calcio turco sia ormai prigioniero delle proprie paranoie, ostaggio di una narrazione cospirazionista che ha reso il campionato una polveriera.

 

Dal sospetto al delirio

Le grandi squadre turche hanno sempre avuto una tendenza al vittimismo. Galatasaray, Fenerbahçe e Besiktas si credono bersagli di forze oscure che favoriscono i rivali. Trabzonspor, invece, è convinto di essere oppresso dai tre club di Istanbul. Le squadre minori? Pensano che l’intero sistema sia corrotto e manipolato.

Negli ultimi anni, però, la retorica della cospirazione ha superato il punto di non ritorno. Nel 2023, il presidente dell’Ankaragucu prese letteralmente a pugni un arbitro. Nello stesso periodo, il presidente dell’Istanbulspor fece uscire i suoi giocatori dal campo per protesta contro una decisione sfavorevole. L’anno successivo, il Fenerbahçe minacciò di abbandonare il campionato, certo di essere vittima di un complotto.

E ancora, pochi giorni fa, l’Adana Demirspor si rifiutò di continuare una partita contro il Galatasaray dopo un rigore controverso. La loro nota ufficiale parlava di “errori arbitrali sistematici e deliberati”. A quel punto, il Fenerbahçe – che in quella partita non c’entrava nulla – pubblicò un comunicato contro il Galatasaray accusandolo di “ingannare gli arbitri e i tifosi”.

In questo contesto, l’unica soluzione per garantire un minimo di credibilità al derby di Istanbul è stata chiamare un arbitro straniero. E non uno qualsiasi, ma quello della finale di Champions League 2024. Il migliore disponibile, l’uomo più imparziale del pianeta.

 

Un problema turco?

Per chi osserva dall’Europa, la Super Lig turca è un mondo a parte. Calcio passionale fino all’eccesso, un’atmosfera surreale, tifoserie incandescenti. Un altro pianeta. Un’illusione rassicurante, che però non corrisponde alla realtà. Perché ciò che sta succedendo in Turchia non è un’eccezione: è solo un’anticipazione.

Poche settimane fa, il Real Madrid ha inviato una lettera alla federazione spagnola, accusando il sistema arbitrale di “manipolazione” e sostenendo che le decisioni contro i blancos abbiano raggiunto un livello di “alterazione della competizione” ormai intollerabile. Non si trattava di tifosi arrabbiati o di uno sfogo post-partita: era un documento ufficiale del club.

A stretto giro, il Milan ha scritto alla lega italiana per denunciare la mancanza di “rispetto” degli arbitri verso i propri giocatori. Cosa intendessero, di preciso, resta un mistero. Ma Zlatan Ibrahimovic, ora dirigente rossonero, lo ha definito “un problema inaccettabile”.

Nel frattempo, in Francia, Pablo Longoria, presidente dell’Olympique Marsiglia, si è lasciato andare a un monologo fiume in cui ha parlato apertamente di “corruzione” degli arbitri francesi dopo un’espulsione subita nella sconfitta contro l’Auxerre. A un certo punto, ha anche detto che, se il Marsiglia ricevesse un invito per la Superlega, accetterebbe all’istante. Il motivo? La Ligue 1 sarebbe “truccata”.

Il problema, dunque, non è turco. È europeo. E se in Turchia la cospirazione è ormai la norma, nel resto del continente è un fenomeno in crescita esponenziale.

 

Il calcio può sopravvivere al sospetto?

Chiunque abbia seguito il calcio italiano degli ultimi vent’anni sa che non tutte le accuse sono infondate. Calciopoli non è stata un’invenzione, così come non lo erano i tentativi di Bernard Tapie di comprare partite prima della Champions League vinta dal Marsiglia. In Spagna, poi, il caso Negreira ha rivelato pagamenti sospetti tra il Barcellona e un alto dirigente arbitrale.

Ma da qui a vedere complotti ovunque ce ne passa. La differenza tra realtà e paranoia è semplice: l’esistenza di prove. E nessuno dei club che oggi alza la voce sembra averne. Solo dati selezionati, interpretati a proprio favore, spacciati per verità assoluta.

Il calcio, come tanti altri aspetti della società, sta subendo una radicalizzazione. L’idea che ogni errore arbitrale sia una cospirazione, che il proprio club sia vittima di un disegno più grande, è ormai la norma.

Le conseguenze sono devastanti. Vincic, dopo aver arbitrato il derby di Istanbul, è stato richiesto dal Trabzonspor per le partite contro Galatasaray e Fenerbahçe. Perché solo loro dovrebbero avere un arbitro imparziale? Perché non tutti? E se questo diventa lo standard, a che punto ci fermeremo?

Intanto, in Francia, il direttore di gara che ha fatto infuriare Longoria si è ritrovato con le gomme dell’auto – sua e della moglie – tagliate. Ci sono state anche segnalazioni di un’intrusione nella sua casa. Fin dove arriverà questa escalation?

Ma il danno più grande è quello invisibile: il calcio vive di credibilità. Se ogni partita è sospetta, se ogni errore è visto come una frode, se ogni stagione è considerata falsata, cosa resta? Perché seguire una competizione che si crede truccata?

La corruzione è un male che va combattuto, sempre. Ma trasformare il sospetto in una strategia politica, alimentare la paranoia per difendere i propri interessi, significa minare le basi stesse del gioco.

E allora, prima di scrivere la prossima lettera alla federazione, prima di usare Twitter per insinuare il dubbio, Longoria, Ibrahimovic e tutti gli altri dovrebbero farsi una domanda molto semplice: cosa succede se la gente smette di crederci?

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