È stata una partita strana”, ha detto Sandro Tonali nel post-partita. Una definizione perfetta, quasi definitiva, che riesce a spiegare tanto senza dire troppo. Una partita in cui l’Italia è sembrata se non migliore, almeno più brillante e per lunghi tratti più convinta, e che invece si è chiusa con una rimonta tedesca tanto lineare quanto chirurgica. Un altro episodio dentro una transizione lunga, difficile da leggere, che si chiama “ricostruzione”.

 

Un primo tempo da squadra vera

Luciano Spalletti aveva immaginato la partita in un certo modo, e nei primi 45 minuti ci era riuscito. L’Italia è scesa in campo con un 3-5-1-1 molto fluido, in cui le mezzali Tonali e Barella svolgevano il doppio compito di raccordo e aggressione, mentre Raspadori, ibrido tra seconda punta e trequartista, doveva galleggiare tra le linee. Politano, scelto come esterno destro a tutta fascia, è stato il vero ago della bilancia: spesso isolato in 1v1 con Raum, ha rappresentato la prima e più efficace valvola di sfogo.

Il gol del vantaggio è stato il manifesto dell’idea di Spalletti: riconquista bassa, cambio gioco di Bastoni sulla destra, combinazione Barella-Politano e arrivo di Tonali in rimorchio. Un’azione da manuale, pensata per sfruttare i limiti strutturali del 4-2-3-1 tedesco – in particolare l’altezza dei terzini in fase di possesso.

Per tutta la prima frazione, l’Italia ha lasciato palla alla Germania (41% il possesso finale), ma senza mai subire realmente. Musiala è rimasto ai margini, Sané spento, e il pressing tedesco – come contro la Francia a novembre – è stato neutralizzato dal dinamismo del centrocampo italiano e da un’uscita palla pulita, spesso diretta, ma non improvvisata. Il dato degli xG nel primo tempo (0.47 vs 0.39) riflette una sostanziale parità, ma l’Italia ha creato le occasioni migliori.

 

Il crollo di struttura e concentrazione

Il secondo tempo si è giocato su un’altra frequenza, e non solo per merito della Germania. Nagelsmann ha corretto tre dettagli chiave: ha inserito Schlotterbeck per Raum per stabilizzare la fase difensiva, ha spostato Sané a sinistra e Musiala al centro, ma soprattutto ha mandato in campo Kleindienst, centravanti con doti aeree opposte rispetto a Burkardt.

Quel cambio – apparentemente minimo – ha messo a nudo una delle debolezze strutturali dell’Italia: la difesa delle palle inattive e dei duelli aerei centrali. Su un cross perfetto di Kimmich, Kleindienst ha dominato Bastoni nel cuore dell’area per l’1-1. Il secondo gol, firmato da Goretzka su angolo, è arrivato con dinamiche simili.

L’Italia ha mostrato una buona capacità di reazione dopo l’1-1: due occasioni quasi in fotocopia firmate da Kean e Raspadori, entrambe su rifinitura di Tonali. Ma sono state fiammate più che soluzioni strutturate. Dopo i cambi, la squadra ha perso brillantezza e soprattutto connessioni: l’ingresso di Bellanova per Politano, ad esempio, ha sbilanciato la catena di destra, portando all’angolo da cui è nato il gol decisivo. A sinistra, l’infortunio di Calafiori ha complicato ulteriormente l’ultima fase di partita.

 

Tonali, il nuovo centro dell’universo azzurro

In mezzo a tutto questo, la nota più luminosa resta Sandro Tonali. Gol a parte, ha dominato il centrocampo: 2 occasioni create, 87% di precisione nei passaggi, 3 dribbling riusciti, 7 duelli vinti. Non è solo un incursore, non è solo un interditore: è un centrocampista completo, in grado di cambiare ritmo e direzione alla partita.

Il dibattito sul ruolo di Tonali – regista basso come al Newcastle o mezzala d’assalto come ieri – può aprire scenari nuovi. Un’Italia con Tonali-Barella come doppio motore e magari un terzo centrocampista più offensivo (Frattesi?) potrebbe diventare più verticale e meno dipendente dalle fasce.

 

Questione di centimetri e continuità

Non si può non tornare su un problema ormai ricorrente: i gol subiti di testa. Kleindienst e Goretzka hanno punito una linea difensiva troppo “gentile”, troppo poco dominante in area. Il tentativo di inserire Bellanova per alzare i centimetri ha avuto l’effetto opposto: l’Italia ha perso controllo e ha subito il corner decisivo da una sua palla persa.

Nella lettura di Spalletti – “ci è mancata continuità” – c’è il cuore del problema: questa Italia sa accendersi, ma non sa ancora gestire l’energia. Alterna momenti di grande lucidità a pause inspiegabili, come se si spegnesse. E in partite di questo livello, le pause si pagano.

 

Una sconfitta che non è una condanna

L’Italia ha perso, ma non è stata dominata. Ha subito due gol evitabili, ha mostrato margini di crescita evidenti e ha tenuto testa a una Germania più avanti nel percorso. Spalletti, con realismo, ha detto: “Possiamo vincere anche noi a Dortmund”. Non è solo una frase per i microfoni: il campo ha mostrato una squadra che può competere.

Il ritorno sarà difficile – serve vincere con due gol di scarto in casa tedesca – ma non impossibile. A patto di non sbagliare i dettagli, di crescere nella gestione e, soprattutto, di non disperdere quel che di buono si è visto. Perché, in fondo, questa “partita strana” potrebbe essere l’inizio di qualcosa.

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