Alla fine resta un pareggio. Ma anche una sensazione: quella di un’occasione mancata, di una Nazionale che si è ricordata troppo tardi di essere in partita. A Dortmund, la Germania e l’Italia hanno costruito due tempi opposti, speculari, quasi schizofrenici. Il primo è stato dominio assoluto dei padroni di casa, il secondo una rimonta che per poco non ha assunto i contorni dell’epica. Finisce 3-3, con tre gol per parte distribuiti in due atti diversi, come due squadre diverse in campo. La Germania prenota le Final Four, l’Italia resta fuori. Spalletti si porta a casa segnali incoraggianti ma anche un primo tempo che è già materiale da autocritica.
Le formazioni: Nagelsmann a specchio, Spalletti sceglie la fisicità
Entrambi i tecnici scelgono il 3-4-2-1, ma con intenti diversi. Nagelsmann sorprende proponendo una difesa a tre con Schlotterbeck largo a sinistra, liberando così Mittelstädt in spinta costante. In mezzo al campo, Goretzka e Stiller garantiscono densità, mentre Musiala e Sané agiscono alle spalle della punta Kleindienst, abile sia a cucire che a attaccare la profondità.
Spalletti risponde con un’Italia muscolare, pensata per resistere nei primi 20 minuti e colpire in ripartenza. In difesa tornano Gatti e Buongiorno con Bastoni, mentre Di Lorenzo e Udogie presidiano le corsie. A centrocampo Ricci prende il posto di Rovella, con Tonali e Barella interni. Davanti, Maldini agisce a supporto dell’unica punta Kean, preferito a Retegui (assente) e a Raspadori.
L’idea dell’Italia è chiara: coprire il campo in verticale, chiudere le linee centrali, sfruttare le spalle larghe di Kean e il passo lungo di Maldini. Ma il piano salta subito.
Primo tempo: dominio assoluto tedesco, Italia impalpabile
Il primo tempo si gioca su un solo binario. La Germania aggredisce, l’Italia subisce. Al 45’, i numeri raccontano la storia: 18 tiri a 3, 64% di possesso palla, 6 tiri nello specchio contro zero, 25 tocchi in area italiana contro 4. Un dato: gli Expected Goals (xG) sono 2.94 per la Germania, appena 0.13 per l’Italia. La squadra di Spalletti è schiacciata nella propria metà campo, incapace di risalire. Ricci è annullato dalla densità tedesca, Barella e Tonali affondano in mezzo a Sané e Musiala, mentre Kean non riceve palloni giocabili.
La rete dell’1-0 arriva al 30’ su rigore, procurato da Kleindienst e trasformato da Kimmich. Il 2-0 è figlio di un blackout collettivo: Donnarumma dopo un grande intervento esce dai pali per urlare alla difesa, Kimmich batte subito l’angolo e Musiala insacca senza opposizione. Il terzo gol arriva ancora su palla laterale: cross di Kimmich, colpo di testa di Kleindienst che sovrasta Di Lorenzo. È una mattanza tecnica e mentale.
L’Italia non riesce a uscire: Gatti è in costante affanno, Maldini tocca tre palloni in 45 minuti, Ricci perde ogni duello. Spalletti aveva chiesto resistenza per venti minuti: dopo trenta, è già sotto di due. Dopo quarantacinque, è 3-0.
Secondo tempo: rivoluzione di Spalletti, reazione d’orgoglio
La ripresa è un’altra partita. Spalletti cambia subito: fuori Gatti e Maldini, dentro Politano e Frattesi. Cambia anche l’atteggiamento. L’Italia si alza, torna a quattro dietro con Di Lorenzo accentrato, e sfrutta le fasce con Politano e Udogie. Frattesi inserisce gamba e pressione, Barella si alza sulla linea di Kean. Il baricentro sale, il pressing funziona, la Germania inizia ad arretrare.
Il primo gol azzurro nasce da un errore in uscita di Kimmich, approfittato da Kean con freddezza. Sul secondo, è Raspadori – appena entrato per Tonali – a rompere la linea tedesca con un assist perfetto per Kean, che salta Tah e infila Baumann. Al 70’ è 3-2, e la partita è improvvisamente aperta.
Al 73’, l’Italia trova un rigore che potrebbe valere il pareggio: Di Lorenzo viene steso in area da Schlotterbeck. Marciniak assegna, ma poi il VAR lo richiama: decisione revocata. Episodio dubbio, forse decisivo. Poco dopo, un nuovo tocco di mano in area – stavolta netto – regala un altro rigore: Raspadori dal dischetto fa 3-3. A quel punto l’Italia è tutta in avanti, Spalletti toglie anche Kean per Lucca, ma la rimonta si ferma lì.
Il secondo tempo fotografa l’inversione totale dei dati: l’Italia pareggia il possesso (50%-50%), vince nei tocchi in area (11 a 3), negli xG (1.22 a 0.30), e nei tiri (6 a 4). È un’altra squadra, per intensità, qualità e lucidità. Troppo tardi.
Il peso dei primi 45 minuti
L’Italia ha mostrato due volti. Il primo, quello timoroso, mal posizionato, travolto da una Germania intensa e ben allenata. Il secondo, quello coraggioso, reattivo, capace di ribaltare l’inerzia tattica e psicologica del match. Ma nel calcio internazionale le partite durano novanta minuti, e i blackout si pagano. L’eliminazione brucia perché figlia soprattutto di quei primi 45’, nei quali l’Italia ha concesso tutto e ottenuto nulla.
La rimonta nella ripresa ha salvato l’onore, ma non il risultato. E ora Spalletti deve trovare l’equilibrio tra le due versioni della sua squadra. La strada verso il Mondiale 2026 comincia da Oslo, contro Haaland. Non sarà semplice. Ma dopo Dortmund, l’Italia ha imparato – di nuovo – che cominciare a giocare dal primo minuto non è una variabile, ma una necessità.