L’Inter resiste. L’Inter colpisce. L’Inter avanza. Dentro un San Siro ribollente, la squadra di Simone Inzaghi costruisce l’ennesima prova di compattezza, lucidità e freddezza, eliminando un Bayern Monaco forse più brillante, ma mai davvero padrone del campo. Finisce 2-2, un pareggio che vale oro dopo il 2-1 dell’andata, frutto di una prestazione cinica, sofferta, perfettamente aderente all’identità che Inzaghi ha scolpito in questa squadra: una squadra che non muore mai.
Il primo tempo racconta di un Bayern Monaco volenteroso, aggressivo, ordinato nella pressione e generoso nel possesso palla. I bavaresi chiudono la prima frazione con il 61% di possesso e 9 tiri tentati, ma appena 0.58 expected goals (xG): un dato che, più di ogni altro, fotografa l’efficacia della fase difensiva nerazzurra. L’Inter, pur soffrendo, ha concesso solo tiri da posizione difficile, chiudendo ogni corridoio centrale e lasciando ai bavaresi solo qualche velleitario tentativo da fuori.
È stata la solita Inter europea: bassa, compatta, capace di leggere la profondità degli avversari e di risalire con pochi tocchi. Con Calhanoglu a gestire la prima costruzione e un Barella onnipresente nel riempire ogni vuoto tra le linee, la squadra di Inzaghi è riuscita anche a creare pericoli. La più chiara occasione del primo tempo arriva infatti da un calcio piazzato, con Acerbi dimenticato in area su una punizione di Dimarco: un’azione che ha generato uno 0.25 di expected assist (xA), la più alta produzione qualitativa del primo tempo nerazzurro.
Il secondo tempo si apre con un Bayern ancora più sbilanciato in avanti, e il gol di Kane – al minuto 53 – è figlio proprio di questa pressione costante. L’azione nasce da un’imbucata di Goretzka che coglie impreparata la retroguardia nerazzurra: Dimarco è troppo morbido nella marcatura, Sommer viene battuto da un diagonale pulito. La rete vale uno 0.45 xG, il più alto valore generato in tutta la gara dagli uomini di Kompany.
Ma il vero spartiacque della partita sono i tre minuti successivi. L’Inter reagisce con la lucidità delle grandi squadre. Su corner di Dimarco, una respinta imperfetta di Kimmich è sfruttata da Lautaro, che scarica il pareggio con la ferocia del leader: è la sua ottava rete in questa edizione della Champions, e il tiro vale 0.38 xG. Poco dopo, su un altro corner – questa volta di Calhanoglu – è Pavard a salire in cielo, sovrastando Kim e siglando il suo primo gol con la maglia nerazzurra. In totale, le due azioni da palla inattiva hanno generato 1.02 xG complessivi: numeri che certificano quanto l’Inter sia diventata una squadra devastante anche nei calci piazzati, grazie alla qualità dei battitori e ai movimenti coordinati in area.
La reazione del Bayern, a quel punto, è furiosa. Kompany butta nella mischia Gnabry e Coman, e il baricentro dei bavaresi si alza ancora. Proprio da un cross teso di Gnabry nasce il pareggio di Dier: un colpo di testa apparentemente pensato per una torre centrale, che invece sorprende Sommer e si infila all’incrocio. È un episodio con un valore xG inferiore a 0.10, a dimostrazione di quanto fosse improbabile che quel pallone finisse in porta. Ma in partite del genere, anche gli episodi contano.
Gli ultimi dieci minuti sono un assedio. Il Bayern chiude con 20 tiri totali (contro i 15 dell’Inter), ma appena 1.32 xG, con soli 6 tiri nello specchio: numeri che parlano di una produzione offensiva elevata in quantità, ma non in qualità. Sommer, autore di una parata su Kane nel finale, chiude con un post-shot xG evitato di +0.48, confermando la sua serata positiva, a dispetto del secondo gol subito.
L’Inter, invece, si conferma una squadra da Champions. Inzaghi, nel doppio confronto, ha gestito le partite con intelligenza e freddezza. Ha permesso ai suoi uomini di esprimere il massimo in termini di reazione emotiva, compattezza tattica e lucidità nei momenti chiave. Lautaro è stato il solito totem: oltre al gol, ha tenuto alta la squadra nei momenti difficili, ha combattuto su ogni pallone, ha distribuito gioco. Pavard ha vinto più duelli aerei di tutti (5), e ha impreziosito la prestazione con un gol da ex che pesa come una sentenza.
E così, per la seconda volta in tre anni, l’Inter è in semifinale. Ma stavolta non c’è il sapore dell’impresa casuale: c’è la solidità di un progetto tecnico, la continuità di rendimento europeo, la consapevolezza di una squadra che si sente pienamente all’interno dell’élite. E non è solo una questione sportiva: con la qualificazione, il club ha già incassato oltre 115 milioni di euro in premi UEFA, con la possibilità di toccare quota 140 in caso di finale. È il carburante per costruire il futuro. Un futuro che – come detto da Marotta – punta su investimenti mirati, sull’abbassamento dell’età media e su uno zoccolo duro di italiani da valorizzare.
Intanto, però, c’è un Bologna da affrontare. La stanchezza si fa sentire, lo sforzo emotivo è stato enorme. Ma anche se domenica i nerazzurri dovessero rallentare, non ci sarebbe da recriminare. Perché questa Inter è viva. È dentro le quattro grandi d’Europa. E ha tutto il diritto di continuare a sognare.