Rinaldo Morelli

Ji-Gi Dilemma: il nuovo volto del Messico tra eredità e futuro

Javier Aguirre lo ha definito un “problema fortunato”, ma in realtà sembra qualcosa di più. Il Messico si trova oggi davanti a un bivio tecnico ed emotivo: scegliere tra Raúl Jiménez e Santiago Giménez non è solo una questione tattica, ma un confronto generazionale, una riflessione collettiva sul senso dell’identità e del tempo nel calcio.

Da una parte c’è Jiménez, il veterano, l’uomo che ha visto tutto: l’ascesa con il Wolverhampton, il trauma cranico che ne ha segnato la carriera, la lenta e dolorosa risalita fino a ritrovare sé stesso in Premier League con la maglia del Fulham. Dall’altra c’è Giménez, la promessa che ora è realtà: l’Europa che lo ha accolto prima come scommessa al Feyenoord, poi come investimento del Milan. Due storie che si intrecciano nel punto più delicato della narrazione calcistica messicana: chi siamo stati, chi vogliamo essere.

Il “Ji-Gi Dilemma” – così l’ha ribattezzato con efficace ironia la stampa messicana – non è solo una questione di forma o di numeri. Giménez, classe 2001, ha segnato 45 gol in Eredivisie e ha già mostrato lampi del suo talento anche in Serie A, pur tra le difficoltà strutturali del Milan. Jiménez, dieci gol in Premier quest’anno, è il simbolo di una resilienza rara, quasi commovente. E allora che si fa? Si gioca sull’esperienza o si scommette sulla freschezza?

Aguirre ha tentato di svicolare con una risposta diplomatica: “Possono giocare insieme. La questione non mi toglie il sonno”. Ma il sonno, in fondo, è proprio il tema centrale: dormire sonni tranquilli è ciò che il calcio messicano non può più permettersi. L’onta dell’eliminazione al primo turno in Qatar 2022 pesa ancora. Le scelte di Martino – oggi ancora convinto di aver fatto bene a portare un Raúl fuori forma – sono diventate ferite aperte.

Eppure Giménez oggi è probabilmente il miglior calciatore messicano. Il salto di qualità c’è stato, ma non basta. La Copa América dell’anno scorso è stata un fallimento personale e collettivo. Zero gol, eliminazione nella fase a gironi. Il talento, da solo, non basta. Serve tempo. Serve fiducia. Serve anche – come ha ammesso lo stesso Santi – “una concorrenza sana”, di quelle che ti fanno alzare il livello solo per non restare indietro. E qui Jiménez, con la sua ombra lunga, è ancora il punto di riferimento.

Il nodo è tutto qui: non si tratta solo di scegliere un 9 titolare. Si tratta di capire quale Messico vogliamo vedere. Un Messico che si affida ancora al volto rassicurante del passato o uno pronto a rischiare, a cadere magari, ma a farlo con gli occhi puntati verso l’alto? La Nations League è solo un banco di prova, ma il vero obiettivo resta il Mondiale casalingo del 2026.

Nel frattempo, questa strana abbondanza in attacco – un’anomalia per El Tri, che da Chicharito in poi ha faticato a trovare certezze davanti – ci racconta anche un altro aspetto: forse, per una volta, il Messico può permettersi di non scegliere subito. Forse la soluzione, almeno per ora, è proprio nel dilemma stesso.

Perché un dilemma, quando è benedetto dal talento, può essere anche una dichiarazione di potenza.