Rinaldo Morelli

Manchester United: la crisi finanziaria e l’incertezza della gestione Glazer-Ratcliffe

Il Manchester United è una delle istituzioni più grandi della storia del calcio, un club che evoca ricordi di dominio, di Ferguson, di serate europee leggendarie e di una cultura vincente che sembrava incrollabile. Eppure, nel 2025, lo United è intrappolato in una realtà ben diversa: un club gravato dai debiti, senza una chiara direzione sportiva e con una proprietà frammentata tra il vecchio e il nuovo. Da una parte i Glazer, una famiglia americana che controlla il club da vent’anni e che ha attirato un’ostilità senza precedenti da parte dei tifosi; dall’altra Sir Jim Ratcliffe, il miliardario britannico entrato nel capitale con la promessa di una rivoluzione, ma ancora limitato nei suoi poteri decisionali.

 

I Glazer e il debito: un’ostilità lunga vent’anni

Per comprendere la frustrazione dei tifosi, bisogna tornare al 2005, quando la famiglia Glazer completò l’acquisizione del Manchester United tramite un leveraged buyout, un’operazione che trasferì sul club un enorme debito, trasformandolo da un’organizzazione solida e autosufficiente in un’entità finanziaria vulnerabile. Da allora, mentre il club ha continuato a generare enormi entrate commerciali, gran parte dei profitti è stata dirottata per ripagare interessi e dividendi agli azionisti, piuttosto che per investire nella squadra e nelle infrastrutture.

Dopo quasi due decenni di gestione, il bilancio economico è impietoso. Nel 2025, il Manchester United ha accumulato cinque anni consecutivi di perdite e un debito netto di circa £360 milioni, di cui £200 milioni in scadenza nel 2026. Una situazione che ha imposto al club una politica di austerità, con licenziamenti di massa (circa 200 dipendenti in meno), tagli ai benefit aziendali e persino la riduzione dei pasti gratuiti per lo staff di Old Trafford. La crisi finanziaria si riflette anche sulle decisioni più sensibili per i tifosi: aumenti dei prezzi dei biglietti, riduzione dei bonus per i dipendenti e cancellazione di eventi aziendali.

In tutto questo, la competitività della squadra è andata progressivamente sgretolandosi. Dopo l’addio di Sir Alex Ferguson nel 2013, lo United ha vinto solo pochi trofei di prestigio (FA Cup 2016, Europa League 2017), ma ha faticato a rimanere ai vertici della Premier League e della Champions League. La mancanza di una direzione tecnica coerente ha portato il club a bruciare allenatori e centinaia di milioni sul mercato senza mai costruire un progetto duraturo.

 

L’illusione della svolta: l’ingresso di Jim Ratcliffe

Nel dicembre 2023, i tifosi hanno avuto un barlume di speranza con l’ingresso di Sir Jim Ratcliffe, il miliardario britannico e fondatore di INEOS, che ha acquisito il 25% del club e il controllo delle operazioni sportive. La sua quota è aumentata nel 2024 al 28,94%, rafforzando la sua influenza sul lato calcistico. Per i tifosi, Ratcliffe rappresentava il possibile salvatore: un uomo d’affari con passione per lo sport e radici locali, pronto a riportare lo United ai vertici.

Eppure, a distanza di oltre un anno dal suo ingresso, i risultati sono ancora incerti. Il Manchester United è bloccato a metà classifica in Premier League, lontano dalle posizioni di vertice, e la sua gestione finanziaria è più precaria che mai. Il vero problema? Ratcliffe ha il controllo della gestione sportiva, ma non la maggioranza del club. I Glazer mantengono la proprietà e la capacità di decidere sulle operazioni finanziarie, limitando il raggio d’azione di INEOS.

Il suo piano per la rinascita del club include la ristrutturazione delle infrastrutture, il miglioramento della dirigenza sportiva e un mercato più mirato ed efficace. Tuttavia, senza la possibilità di spendere liberamente a causa della crisi finanziaria, la sua missione diventa complessa.

 

L’incertezza del futuro

Il vero dilemma del Manchester United oggi è la convivenza tra due proprietà con visioni diverse: i Glazer, che continuano a essere visti come una presenza tossica dai tifosi, e Ratcliffe, che vuole riformare il club ma ha margini d’azione limitati. La domanda che aleggia su Old Trafford è sempre la stessa: quando i Glazer venderanno definitivamente?

Finché questa situazione non sarà risolta, il Manchester United rischia di rimanere intrappolato in una spirale di mediocrità, incapace di tornare a competere con Manchester City, Arsenal e Liverpool.

Per un club abituato a dominare, l’attesa per il ritorno al vertice potrebbe essere ancora lunga.

Manchester City-Liverpool 0-2, i nuovi Campioni

L’Etihad Stadium è stato il teatro di una vittoria che sa di passaggio di consegne. Il Liverpool di Arne Slot ha dettato legge in casa del Manchester City con un 2-0 netto, cinico e maturo. Se la classifica non mentisse mai, i Reds sarebbero già campioni: +11 sull’Arsenal secondo, con una partita in più, e un livello di gioco che sembra aver già superato il picco degli avversari. La sensazione è che la Premier League 2024-25 abbia trovato il suo dominatore.

 

La strategia di Slot: un Liverpool fluido e verticale

Slot ha affrontato Guardiola con un piano di gioco estremamente coraggioso, quasi spavaldo: il Liverpool si è schierato in un 4-2-4 molto elastico, con Curtis Jones e Szoboszlai a fare da intermedi tra centrocampo e attacco, aprendo spazi per le discese sugli esterni di Salah e Luis Diaz. L’obiettivo era chiaro: sfruttare la fragilità del City nel difendere in transizione e attaccare in ampiezza un avversario costretto ad accorciare in avanti.

Questa scelta ha esaltato il talento di Salah, incontenibile per Gvardiol, e ha permesso a Szoboszlai di essere il centro gravitazionale della manovra offensiva. Il magiaro è stato l’elemento di raccordo tra il centrocampo e l’attacco, muovendosi con intelligenza tra le linee e mettendo costantemente in difficoltà la difesa avversaria.

Il City senza Haaland: un’idea senza mordente

Senza Erling Haaland, nemmeno in panchina, Guardiola ha provato una soluzione inedita: Phil Foden falso nueve, con De Bruyne e Marmoush a supporto. Il piano, però, non ha mai funzionato realmente. Il pressing alto del Liverpool ha tolto respiro alla costruzione del City, e senza un punto di riferimento fisso in attacco, la difesa dei Reds ha gestito con tranquillità gli attacchi avversari.

Van Dijk e Konaté hanno giganteggiato in marcatura, lasciando pochissimo spazio per inserimenti o giocate pericolose. Quando il City è riuscito a creare qualcosa, lo ha fatto soprattutto con tiri dalla distanza, un segnale di frustrazione e mancanza di soluzioni concrete.

Salah e Szoboszlai, letali nei momenti chiave

Se l’impianto di gioco del Liverpool ha messo in difficoltà il City, a fare la differenza sono stati ancora una volta gli interpreti. Il primo gol arriva al 14’: angolo di Mac Allister, sponda per Salah che calcia di sinistro, trovando una deviazione di Aké che spiazza Ederson. Un gol che ha certificato l’efficacia del Liverpool nelle palle inattive, un’arma sempre più decisiva per i Reds.

Il raddoppio, invece, è il manifesto perfetto della partita di Salah. Al 37’, l’egiziano riceve sulla fascia destra, lascia sul posto Gvardiol con un’accelerazione bruciante e serve un pallone perfetto a Szoboszlai, che con freddezza spiazza Ederson e chiude la partita già prima dell’intervallo. Una combinazione che fotografa il dominio mentale e tecnico del Liverpool nei momenti decisivi.

Il City si arrende: l’ingresso di McAtee e l’uscita di De Bruyne come simbolo della resa

Se Guardiola aveva qualche speranza di rientrare in partita, il secondo tempo l’ha spenta del tutto. L’unica vera occasione per i padroni di casa è un diagonale di Marmoush, ben parato da Alisson. Per il resto, il Liverpool ha gestito il ritmo senza mai perdere il controllo. La frustrazione del City si è palesata al 66’, quando Guardiola ha sostituito Kevin De Bruyne con James McAtee, una mossa che ha sancito la resa definitiva.

I cambi tardivi – Dias, Gundogan e Kovacic – non hanno cambiato il destino del match, perché il Liverpool ha chiuso ogni spazio e ha mostrato una compattezza da squadra ormai consapevole della propria superiorità. Anche il gol annullato a Curtis Jones per fuorigioco al 56’ non ha intaccato la gestione dei Reds, che sono arrivati al triplice fischio senza mai dare al City la possibilità di riaprire la partita.

 

Numeri e dominio: il Liverpool spietato, il City sterile

Le statistiche raccontano una storia interessante: il City ha avuto il 68% di possesso nel primo tempo e il 64% nel secondo, ha tirato di più (16 a 8) ma ha prodotto un xG totale inferiore rispetto al Liverpool (0.63 vs 0.71). Segnale evidente di una squadra che ha girato a vuoto, senza mai riuscire a essere realmente pericolosa.

Salah ha raggiunto quota 25 gol e 16 assist stagionali, numeri da Pallone d’Oro. Szoboszlai ha dominato il centrocampo, dimostrandosi l’elemento chiave di un Liverpool che ha trovato un’identità solida e vincente. L’ultima sconfitta in campionato dei Reds risale al 14 settembre: un dato che rende bene l’idea dello strapotere della squadra di Slot.

Conclusione: la Premier ha un padrone

Questa vittoria non solo affossa il City, ma certifica un Liverpool dominante, che ha le mani sulla Premier League. Il distacco sull’Arsenal è enorme e il Newcastle, prossimo avversario ad Anfield, non sembra in grado di fermare questa corsa inarrestabile.

Per Guardiola, il problema non è solo il distacco dal vertice, ma il rischio concreto di un crollo in classifica: il City è ora quarto e il Chelsea, settimo, è solo un punto dietro. L’obiettivo ora non è più il titolo, ma la qualificazione alla prossima Champions. Un cambiamento di prospettiva che racconta bene il nuovo equilibrio del calcio inglese.