C’era un tempo in cui l’Olympique Lione dominava la Ligue 1 come un monopolista illuminato, dispensando lezioni di gestione sportiva ed estetica calcistica in un campionato abituato a rincorrere. Erano gli anni di Juninho Pernambucano, di Benzema ragazzino, di Aulas visionario e vincente. Poi è arrivata la stagnazione, un periodo di transizione lungo quanto un’epoca geologica, e infine il salto: la costruzione del Parc OL (oggi Groupama Stadium). Doveva essere il nuovo cuore pulsante del club. È diventato, invece, il simbolo di una crisi che ha radici profonde.
La promessa dello stadio nuovo
Nel 2007 Jean-Michel Aulas annunciava con orgoglio un progetto da 400 milioni di euro: un impianto all’avanguardia, polifunzionale, pronto ad accogliere il Lione e la Francia agli Europei 2016. In un’epoca in cui il modello Arsenal con l’Emirates e il modello Juventus con lo Stadium iniziavano a fare scuola, il Parc OL prometteva di portare il club in una nuova dimensione economica. Più biglietti venduti, più eventi, più sponsor. Più tutto.
Quando nel 2016 lo stadio venne inaugurato, la visione sembrava sul punto di realizzarsi: un colosso da 59.000 posti, moderno e sostenibile, pronto a far volare le casse del club. E in effetti i primi segnali erano positivi. Il fatturato del Lione crebbe grazie a una migliore gestione dei matchday revenues, e la semifinale di Europa League nel 2017 con Genesio in panchina fece credere a molti che il Lione fosse tornato competitivo.
Ma quel momento si è rivelato un’illusione.
L’impatto economico: luci, ombre e ombre più lunghe
Il Groupama Stadium non è stato un buco nero finanziario alla maniera dei vecchi stadi olimpici sparsi per l’Europa. Ma la sua costruzione ha inciso profondamente sul cash flow del club. Aulas, pur avendo impostato un modello di autofinanziamento con sponsor e prestiti, ha dovuto ridurre gli investimenti nella rosa durante gli anni del cantiere.
Questa austerità forzata ha accelerato la trasformazione del Lione da squadra dominante a “club laboratorio” per giovani talenti: Fekir, Lacazette, Tolisso, Ndombélé. Tutti hanno brillato e tutti sono stati ceduti, alimentando un ciclo che sembrava virtuoso ma che ha lentamente eroso la competitività. Il bilancio ha beneficiato di plusvalenze importanti, ma non abbastanza da sostenere contemporaneamente il debito per lo stadio e una rosa di primo livello.
Con il Covid, l’impatto negativo si è moltiplicato. Senza pubblico, il vantaggio di avere uno stadio di proprietà si è trasformato in un fardello. Nel 2020-21 il Lione chiudeva con una perdita di 107 milioni di euro: la più alta della sua storia recente.
E mentre Aulas lasciava nel 2023 consegnando il club al nuovo proprietario John Textor, le speranze di un rilancio immediato si sono infrante contro una gestione sportiva sempre più confusa.
La crisi sportiva: un club senza anima
Dalla semifinale di Champions del 2020 (un’altra illusione, figlia di un format anomalo post-pandemia), il Lione è precipitato in una spirale negativa. Nelle stagioni successive, la squadra ha mancato ripetutamente l’accesso alle coppe europee, perdendo non solo prestigio ma anche risorse vitali. Le campagne acquisti si sono dimostrate incoerenti, con scelte che oscillavano tra il colpo mediatico (Boateng, Shaqiri) e il giovane da valorizzare (Cherki, Lukeba), senza mai una reale progettualità.
Il risultato è un club che oggi naviga tra la metà e la bassa classifica della Ligue 1, divorato dall’instabilità tecnica e dalla pressione di un pubblico che non riconosce più il DNA competitivo del Lione.
Uno stadio troppo grande per un club troppo piccolo?
Il paradosso del Groupama Stadium è tutto qui: uno dei migliori impianti d’Europa ospita una squadra che fatica a riempirlo. Con una media spettatori in calo e un contesto economico che limita i margini di spesa, lo stadio è passato da asset strategico a simbolo di sproporzione. Non è un caso che Textor abbia parlato apertamente di “massimizzare i ritorni” attraverso eventi non calcistici: concerti, rugby, eSports.
Ma un club di calcio può davvero sopravvivere se il suo stadio rende più per i concerti di Beyoncé che per una vittoria sul Marsiglia?
La lezione (amara) del Lione
L’esperienza del Lione è un monito per tutte le società che vedono nello stadio di proprietà la panacea di ogni male. Sì, l’impianto è un moltiplicatore di ricavi potenziale, ma senza una strategia sportiva coerente e senza una gestione capace di bilanciare investimenti e ritorni, può diventare un acceleratore della crisi.
Per il Lione, oggi, la sfida è ritrovare un’identità dentro il campo, prima ancora che nei conti. Solo così il Groupama Stadium tornerà a essere la casa di un club ambizioso, e non un freddo monumento alle ambizioni incompiute di Aulas.