Rinaldo Morelli

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Una parola di conforto per i milanisti

Qualche giorno fa, ho ricevuto una mail da una persona che segue i miei video, tifa Milan e non ha un’età tale da potersi ricordare per esperienza diretta cosa abbiamo rappresentato nel panorama del calcio mondiale.

In quello scritto, ricco di aneddoti legati ad una famiglia rossonera, emergeva un senso di sconforto e rassegnazione, la paura di un futuro poco roseo e con prospettive a tinte grigie.

Mi si chiedeva una parola di conforto, uno spiraglio nel quale infilarsi per poter ritornare a seguire il Milan con passione e trasporto, una chiave di lettura della situazione per ritornare a sognare. Questo messaggio ha scatenato in me una doppia reazione.

Da un lato avrei voluto trovare le parole giuste per confortarlo, dall’altro ho ricominciato ad interrogarmi sull’attuale situazione del Milan. Al netto di quelle che sono posizioni estreme (sempre pro, sempre contro) la sensazione che ho è quella dello stallo. Ho l’impressione che si stia vivendo una fase di transizione senza conoscerne la fine, un lungo cammino fatto insieme ad una proprietà di passaggio e un futuro tutto da scrivere.

Naturalmente, questa è solo una supposizione. Nei mesi scorsi abbiamo assistito ad un momento particolarmente importante legato alle indagini relative ai veri proprietari del Milan. All’interno di un’azione a procedere che non vedrà la luce, siamo venuti a conoscenza di un reale interessamento da parte di fondi arabi nell’investire sul Milan. Quella che sembrava solo un’indiscrezione si è materializzata, aiutandoci a sopravvivere in un periodo della stagione molto complicato.

Eravamo all’epilogo del ciclo Pioli, tra l’eliminazione dall’Europa League e il Derby perso in casa che ha consegnato lo scudetto numero 20 all’Inter. Un periodo particolarmente difficile, sportivamente parlando, che ha segnato la stagione e contribuito ad intaccare la granitica certezza di una parte della tifoseria nei confronti della dirigenza.

In un momento così delicato, ecco che la “speranza araba” assumeva contorni quasi mistici: “Maldini guida la cordata”, “Cessione entro la fine della stagione”, “Milioni di euro per il mercato” e via discorrendo. Purtroppo, la realtà ha fatto quello che fa sempre, si è palesata riportandoci a dover leggere quotidianamente su Telegram i giorni che ci separano dalla fatidica data di restituzione del prestito da parte di Gerry Cardinale e la sua RedBird.

Sarà quello il punto di svolta? Come giudicare l’operato e quello che accadrà la prossima stagione? Siamo sospesi, ed è proprio questo galleggiare che ci provoca angoscia. Abbiamo creduto alla rivoluzione estiva scorsa, abbiamo creduto che il dopo Pioli sarebbe stato di livello più alto (pur concedendo a Fonseca il diritto di provarci), abbiamo annusato un colpo importante come Zirkzee.

Eppure, non tutto è male. Da un punto di vista economico si viaggia alla grande, i margini per operare bene lato sportivo ci sarebbero ma sappiamo come la virtuosa volontà dei nostri manager cozzi terribilmente con la fame di successi di noi tifosi. Il problema di fondo è che il Milan non sembra più il Milan, sembra un prodotto bellino, ben confezionato, molto presentabile ma svuotato di anima.

Non mi interessa se nel calcio moderno la calcolatrice vale più del cuore. Se devo rassegnarmi all’idea che “datemi un file di Excel e vi solleverò il mondo” allora preferisco occupare il tempo facendo altro. Invece no, non ho intenzione di cedere su questo aspetto.

Sono stato accusato di retorica e populismo quando ho evidenziato questa mancanza, l’identità che abbiamo perso dopo la cacciata dell’ultimo rappresentante che ci era rimasto del “milanismo” per come lo intendo io.

Non capisco come non si possa tenere conto di questo aspetto. Quando abbiamo vinto l’ultimo, esaltante, scudetto avevamo creato un’unione di intenti e anime che è stata alla base di quel trionfo. Tutto il Milan, dall’ultimo tifoso al primo dirigente, si era compattato verso l’obiettivo, si è creato un blocco unico che da cuore è diventato squadra.

Senza l’evidente possibilità di comprare campioni capaci di indirizzare le sorti di una stagione, quello che una società come la nostra dovrebbe fare è creare gruppo, esaltare i valori presenti e trasferire senso di appartenenza e quel calore che, in particolar modo, contraddistingue noi italiani, passionali e viscerali quando si parla di calcio.

Gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”.

In questo senso, mi ha fatto piacere ricevere quel messaggio da un ragazzo giovane, da chi si rende conto di come si stia tentando di prosciugare il senso di appartenenza.

Ogni generazione ha dei valori, come giusto che sia. Nell’ultimo anno ho pensato che il nuovo tifo rossonero fosse cresciuto con una visione moderna, affaristica, poco romantica e molto “numerica”. Ho pensato che i risultati degli ultimi anni avessero risollevato il loro umore, dopo aver attraversato gli anni della c.d. “Banter era”. Non basta.

Non è sufficiente, non è giusto. L’appartenenza non è fede, non è una cieca obbedienza a tutto quello che qualcuno decide di imporre. Il Milan necessita di un’anima, ha bisogno di ricreare l’unità di intenti che lega la squadra ai tifosi. I tifosi, oggi, sono visti come un qualcosa di occasionale, affezionati al marchio e all’evento, distaccati nei giorni dove non c’è la partita.

La visione della nostra proprietà è questa. Il distacco che loro mostrano è quello che vorrebbero insegnare al tifoso. Vogliono riempire lo stadio, vendere merchandising, fare profitto senza sforzo, senza paura, senza voglia di osare e soprattutto vincere. Vogliono portarci nella nuova dimensione dove la vittoria o la sconfitta sono contorno rispetto al prodotto offerto, il quale deve valorizzarsi a livello di sistema per generare ancora più profitto.

Se questa proprietà avesse non dico lungimiranza ma almeno furbizia, terrebbe conto di tutto questo. Proverebbe a riaccendere il legame tra lei e i tifosi “veri”, quelli che vivono il calcio come passione e non come una puntata di una serie TV.

Questo vorrei vedere, questo potrebbe essere il primo passo per ritornare ad essere credibili. Fatto questo, la struttura societaria dovrebbe infarcirsi di persone abili e competenti, ciascuna nel ruolo giusto. Anche questa superficialità nel mantenimento di un organigramma incompleto ci riporta alla sensazione di stallo, al limbo nel quale attendiamo che accada qualcosa.

Pensare che basterebbe così poco per riavere credito, aldilà della campagna acquisti o di figure di rappresentanza tanto esposte quanto inutili.

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