Dalla puntata di Report del 23.06.2025.


C’era una montagnetta. E c’era una 600, il profilo delle torri del terzo anello in lontananza, la radio che mandava canzoni tristi d’amore e lo stadio, lì, come punto fermo nella geografia sentimentale di una città intera. San Siro non era solo calcio: era un abbraccio urbano, una macchina del tempo, un’architettura totale che trasformava il cemento in mito. Oggi, invece, quel mito sta per diventare un progetto immobiliare.

DA CATTEDRALE DEL CALCIO A CANTIERE DI PROFITTI

La demolizione del Meazza è sempre più vicina. Comune di Milano e club hanno trovato l’intesa: San Siro sarà venduto per 73 milioni di euro, cifra che farebbe sorridere perfino un agente immobiliare d’altri tempi. Il progetto? Un nuovo stadio pochi metri più in là, grattacieli, centro commerciale, hotel, ristoranti. Il solito menù del capitalismo da rendita.

Ma la domanda di fondo resta sempre la stessa: perché abbattere uno stadio che funziona?

San Siro non è un relitto. È stato scelto per ospitare l’inaugurazione delle Olimpiadi 2026. È stato candidato dalla UEFA per la finale di Champions del 2027. E funziona benissimo anche per i concerti, con più di 12 milioni di spettatori accorsi sotto la sua copertura.

 

I NUMERI CHE NON TORNANO

L’ultima puntata di Report ha squarciato il velo dell’ipocrisia: questa operazione non è né solida né trasparente. Lo dice Gian Gaetano Bellavia, commercialista ed esperto in diritto penale dell’economia. Ha analizzato i conti di Milan e Inter. Il verdetto è netto.

L’Inter ha debiti per 734 milioni di euro, malcelati dietro una rete di società lussemburghesi e fondi delle Isole Cayman. Il controllo reale è opaco, e l’attuale proprietà cinese è ormai priva di liquidità.

Il Milan, in condizioni leggermente migliori, ha comunque debiti per 324 milioni di euro. Anche qui, la proprietà è schermata da una catena di società olandesi, riconducibili a fondi offshore.

Bellavia ha parlato chiaramente: “Questa operazione non può stare in piedi”.
L’ipotesi più credibile? Un’operazione di portage: acquistare (a basso prezzo) per poi rivendere a soggetti ignoti, incassando l’incremento di valore generato dalla nuova destinazione d’uso.

 

UN’OPERAZIONE IMMOBILIARE, NON SPORTIVA

Il Comune di Milano ha seguito la strada tracciata dai club, cucendo su misura un bando pubblico in realtà disegnato per essere disertato. E così è stato. Il vero affare non è il calcio, ma la terra. Un’area da 290.000 metri quadrati che diventerà privata. Valutata 440 €/mq. Prezzo irreale per Milano, dove si viaggia sopra gli 8.000.

E il Sindaco? Prima si affida all’Agenzia delle Entrate, poi incarica — senza gara — due professori per confermare quella stima. Peccato che entrambi siano legati proprio all’Agenzia delle Entrate. Alla faccia della terzietà.

 

LA RISTRUTTURAZIONE CHE NON SI VUOLE

Eppure, l’alternativa c’era. C’è. Il progetto di Giulio Fenves, architetto e docente, proponeva una ristrutturazione per 300 milioni: copertura acustica, aree hospitality, torri multifunzionali, ristoranti con vista sul campo. Tutto nel rispetto del piano regolatore. Ma non piaceva ai club, né a chi conta davvero.

Nemmeno l’ipotesi di trasformare San Siro in una “scala musicale” per concerti tutto l’anno, proposta da Claudio Trotta (che ha portato Springsteen e molti altri), ha trovato ascolto. Altri stadi in Europa lo fanno da anni. Qui no. Troppo moderno, troppo sensato.

 

CHI PAGA, CHI CI GUADAGNA?

A pagare la demolizione — stimata in 80 milioni di euro — non si sa chi sarà. Le squadre la escludono, il Comune nicchia. Una cifra superiore a quella della vendita dello stadio stesso.

E l’impatto ambientale? Cemento e acciaio da smaltire per una struttura da 150.000 m³. L’operazione vanificherebbe tre anni di politiche ambientali del Comune, secondo i dati del professor Paolo Pileri. Un paradosso climatico nel nome del profitto.

 

UNA PARTITA ANCORA APERTA

C’è ancora una partita da giocare: quella del vincolo della Soprintendenza. Se davvero il secondo anello è stato utilizzato prima del 1955, San Siro ha diritto alla tutela paesaggistica. Le prove fotografiche esistono. Se il vincolo scatterà a novembre 2024, l’abbattimento sarà illegale.

Il Comune, nel frattempo, ha incassato dalle squadre 260 milioni in 25 anni, poco più di 10 milioni l’anno. Ora si appresta a vendere tutto per meno di 200 milioni — stadio e area — a soggetti con debiti miliardari e identità societarie nebulose.

 

E QUINDI?

San Siro non è perfetto. Ma è nostro.
Il suo futuro non può essere deciso nelle retrovie di società off-shore.
Non può essere il frutto di trattative private sotto la maschera della trasparenza.
Non può diventare un altro caso di svendita del patrimonio pubblico per salvare i conti di due club in crisi.

Oggi, parlare di San Siro significa parlare di cosa vogliamo che diventi Milano.
Una città che tutela la propria memoria, o una metropoli che la cancella in cambio di qualche centro commerciale in più.

 

Le luci di San Siro si spegneranno davvero?

Dipende da noi. Perché a volte, resistere non è nostalgia.
È difendere ciò che ha ancora un senso.

Un commento su “San Siro, chi spegne le luci? La partita che Milano non può perdere

  1. Chiedo scusa ma non concordo minimamente con i presupposti di questo articolo.
    Lo stadio di San Siro appartiene a una Milano degli anni 80, che per fortuna non eiste più. Milano è cambiata e sta cambiando. E lo fa con gli invetimenti dei privati, dato che il pubblico non ha un becco di un quattrino. E gestire e rinnovare uno stadio costa, e costa parecchio. Che lo faccia il privato e ci si possa pure guadagnare per riqualificare la zona San Siro, che ne ha molto bisogno.
    I soldi pubblici non ci sono, siamo pieni di debiti.
    Invito tutti a sentire il canale di Fabio Marcomin su YT, che si occupa di Milano a livello edilizio.
    Concludo col dire che se si vuole che il Milan o l’ Inter possano competere a livello europeo devono avere maggiori intrioti al pari delle squadre più blasonate europee. E questo passa necessariamente dallo stadio. Peccato che non vi sia spazio sufficiente per 2 stadi distinti, nel comune di Milano. Diverso sarebbe il discorso se Milano avesse le stesse competenze di Londra.

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