La pioggia battente di Oslo non ha solo inzuppato le maglie degli azzurri, ha lavato via anche le ultime illusioni su una Nazionale che ormai non trova più né anima né gioco. Il debutto nelle qualificazioni mondiali contro la Norvegia si è trasformato in una disfatta storica, un 3-0 che lascia l’Italia inchiodata a zero punti e con l’ennesimo baratro davanti agli occhi. Il gruppo di Solbakken ha asfaltato una squadra svuotata, disorganizzata, umiliata nella testa prima ancora che nel punteggio. Il fatto che l’unico tiro nello specchio dell’Italia sia arrivato al 92’, con Lucca, è una sentenza. E non solo sportiva.

Il momento dell’Italia e le ombre su Spalletti e Gravina

La fotografia di Luciano Spalletti seduto, impassibile, mentre la Norvegia banchettava su ogni nostra incertezza, vale più di mille parole. Il crollo dell’Italia non è episodico, è sistemico. È il frutto avvelenato di una continuità gestionale che ha preferito la prudenza alla rifondazione, il rattoppo al rinnovamento. Dopo l’eliminazione da Euro 2024 per mano della Svizzera, il CT era già sul banco degli imputati. Eppure Gabriele Gravina, presidente della FIGC, ha scelto di confermare tutto, sperando che la Nations League potesse coprire le crepe. Quelle crepe ora sono voragini. Il rischio di mancare il terzo Mondiale consecutivo è concreto. Sarebbe la prima volta nella nostra storia. Un fallimento tecnico e istituzionale che richiama precedenti pesanti: Abete si dimise dopo il Brasile 2014, Tavecchio lasciò dopo la Svezia nel 2017. Gravina no. Ancora no. E intanto l’Italia affonda.

Le formazioni: moduli simili, intensità opposte

Spalletti ha scelto il 3-5-1-1 con Donnarumma tra i pali, Coppola al debutto accanto a Di Lorenzo e Bastoni. A centrocampo Rovella regista, con Barella e Tonali mezzali, Udogie e Zappacosta sugli esterni. Raspadori alle spalle di Retegui. Un undici sulla carta equilibrato, in realtà sfilacciato, senza profondità e privo di idee. Dall’altra parte, la Norvegia ha disposto un 4-4-2 estremamente ordinato e verticale. Nyland tra i pali, Ryerson e Wolfe terzini, Odegaard e Nusa sugli esterni di centrocampo, Sorloth e Haaland davanti. In teoria la potenza offensiva era concentrata sul centravanti del City, ma in pratica il dominio tecnico e fisico è stato totale, in ogni zona del campo.

La partita: dominio norvegese, impotenza azzurra

L’Italia inizia palleggiando. Un’illusione. Il possesso è sterile, l’avanzamento lento. La Norvegia aspetta e colpisce. Al 14’ Bastoni sbaglia un cambio campo, Nusa brucia Rovella e serve Sorloth che, tenuto in gioco dallo stesso Bastoni, trafigge Donnarumma. È il preludio al crollo. L’Italia gira a vuoto, Retegui non riceve un pallone giocabile, Raspadori prova a legare il gioco ma viene annullato. Nusa, invece, fa quello che vuole: al 35’ semina Rovella, induce all’errore anche Di Lorenzo e fulmina Donnarumma con un destro sotto l’incrocio. Otto minuti dopo, Odegaard pesca Haaland con un filtrante perfetto: il 3-0 è realtà. Un tempo per distruggere un’intera architettura.

I numeri del primo tempo sono impietosi. Possesso 66%, ma appena un tiro (fuori). xG Italia: 0.04, Norvegia: 1.57. Tiri nello specchio: 0 a 4. L’Italia perde ogni duello (meno contrasti vinti, meno intercetti, meno respinte), e quando Spalletti inserisce Frattesi per Rovella a inizio ripresa, la musica non cambia. Anzi, il divario si allarga idealmente anche se non nel punteggio: la Norvegia prende un palo con Berge, sfiora il quarto gol con Haaland e controlla il match senza affanni. L’Italia chiude con due mezze occasioni: un tiro sbilenco di Orsolini e un colpo di testa di Lucca all’ultimo minuto. L’unico tiro nello specchio. Al 92’.

Nella ripresa, la Norvegia ha avuto il 42% di possesso contro il nostro 58%, ma ha tirato cinque volte contro una. L’xG complessivo recita 1.63 a 0.10 per i padroni di casa. Lo zero assoluto offensivo è speculare all’inconsistenza difensiva: la difesa a tre, che doveva offrire copertura, ha semplicemente reso più statico il gioco e scoperto le fasce. Zappacosta e Udogie sono stati disastrosi, Tonali ha perso mordente, Barella è sembrato l’ombra del giocatore dell’Inter. Coppola, al debutto, non ha demeritato più di altri, ma si è trovato in un contesto ingestibile. Raspadori e Retegui non hanno avuto rifornimenti e Spalletti ha atteso troppo per cambiare.

Il fondo del barile

Non è solo un tracollo sportivo. È l’emblema di un sistema fallito, che da anni rincorre la modernità senza mai raggiungerla. La Norvegia ci ha dato una lezione di gioco, di fisicità, di mentalità. Sembra assurdo dirlo, ma è così: noi, che un tempo dominavamo con il talento e l’intelligenza, oggi rincorriamo e nemmeno con troppa convinzione. La qualità è evaporata, la tecnica è trascurata, il dribbling un’arte dimenticata. La figura di Antonio Nusa – vent’anni, norvegese, devastante – è il manifesto della nostra crisi. Dove sono i nostri Nusa? Dove sono i nostri Yamal, i nostri Musiala, i nostri Nico Williams?

Non ci sono. E non ci saranno, se non si cambia radicalmente. Ma intanto resta la polvere della sconfitta. Le voci dei tifosi sotto la pioggia, le sagome dei dirigenti che scappano via in silenzio, la maschera di Gravina che non parla e non decide. Lunedì arriva la Moldova, già definita come “brodino caldo”. Ma nessuna vittoria cosmetica potrà nascondere ciò che Oslo ha svelato: siamo vuoti. Tecnicamente, emotivamente, strategicamente. E forse, irreversibilmente.

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