C’è una scena, negli ultimi minuti della partita persa malamente contro la Norvegia, che riassume l’intero stato d’animo del calcio italiano. Luciano Spalletti si alza dalla panchina, cammina verso la linea laterale, guarda il campo come se cercasse una risposta che non arriverà. Il volto è teso, scavato, incredulo. Ma soprattutto, è solo. E non perché la panchina sia vuota. È solo perché attorno a lui, in questo momento, nessuno sembra davvero sapere dove andare. Nemmeno chi dovrebbe guidare tutto questo.

La FIGC ha deciso: Luciano Spalletti non sarà più il Commissario Tecnico della Nazionale. Una decisione che arriva come uno schiaffo improvviso, ma che in realtà era già nell’aria. Dopo il crollo con la Norvegia, l’Italia è a un passo dall’eliminazione. Ancora una volta. Dopo il 2018. Dopo il 2022. E ora, il baratro del 2026.

Ma la notizia che fa ancora più rumore dell’addio di Spalletti sono i nomi per la successione: Daniele De Rossi, Fabio Cannavaro, Gennaro Gattuso. Nomi carichi di retorica, storia, emozioni mondiali. Ma svuotati di senso nel presente. Nessuno dei tre ha dimostrato, ad oggi, di essere pronto per una responsabilità del genere. Nessuno dei tre porta con sé un progetto tecnico. Nessuno dei tre rappresenta una visione. Gattuso, al momento, sembra il favorito. Un allenatore la cui carriera è un’altalena di tensioni, esoneri e lampi isolati. Un rischio enorme, per una Nazionale già alla deriva.

Nel frattempo, si parla di Cesare Prandelli come nuovo Direttore Tecnico. Una figura che ha lasciato ottimi ricordi sul piano umano, ma che non allena da anni e che si era allontanato dal calcio per ragioni personali profonde. È questo il piano? Rimettere insieme i cocci con i nomi del passato, nella speranza che qualcosa si accenda?

 

La crisi oltre il campo

Il punto è che, ancora una volta, si confonde il sintomo con la malattia. Spalletti ha sicuramente delle responsabilità, ma non è lui il problema. Il problema è strutturale. È un sistema federale privo di direzione, dominato da logiche conservatrici e compromessi politici. È un campionato che produce sempre meno talento italiano, che premia la mediocrità, che ignora la formazione. È un’idea di calcio che si è fermata nel tempo, mentre il resto d’Europa correva.

Il ranking UEFA ci racconta una Serie A che, pur con qualche acuto, è diventata il quarto campionato per qualità media. Le squadre italiane reggono finché possono. Poi si schiantano. La Nazionale è lo specchio di questo declino. Dopo l’Europeo vinto nel 2021, sembrava che qualcosa fosse cambiato. E invece, è stato solo un lampo. Il ritorno alla realtà è stato durissimo. Confusione, convocazioni discutibili, nessun ricambio generazionale vero. E ora, Spalletti fuori.

 

Dove andiamo ora?

Se davvero si affiderà la panchina della Nazionale a un nome “facile” come Gattuso, senza un piano preciso, sarà l’ennesima occasione persa. Perché oggi l’Italia non ha bisogno solo di un CT. Ha bisogno di una riforma totale. Di idee nuove. Di gente che sappia leggere il presente e costruire il futuro. Di una federazione che smetta di guardarsi l’ombelico e cominci a lavorare seriamente sulle giovanili, sui centri federali, sulle competenze.

I numeri sono impietosi. L’Italia non partecipa a un Mondiale da dieci anni. Dieci anni in cui sono cresciute generazioni intere senza mai vedere la maglia azzurra giocare la partita più importante. Un vuoto che non è solo sportivo, ma anche culturale, identitario.

 

Un’occasione per ricominciare?

Paradossalmente, questa può essere l’occasione per fare pulizia. Per dire: basta. Per smettere di rincorrere le soluzioni tampone e avviare una vera rifondazione. Come ha fatto la Germania dopo il disastro del 2000. Come ha fatto la Francia negli anni bui post-Zidane. Serve tempo, certo. Ma serve soprattutto coraggio. Il coraggio di dire che non basta chiamarsi Gattuso per meritare la panchina azzurra. Che non basta evocare Berlino 2006 per cambiare rotta.

Oggi l’Italia è una nave alla deriva. Ha perso la rotta, ha cambiato troppi capitani, ha affidato il timone a chi non aveva bussola. Ma è ancora possibile salvarla. A patto di cominciare adesso. Con lucidità, con umiltà, con serietà.

La domanda non è chi sarà il prossimo CT. La domanda è: vogliamo ancora una Nazionale che rappresenti davvero l’Italia? O ci accontentiamo di far finta?

Un commento su “L’ultima caduta. Spalletti fuori, la Nazionale in ginocchio

  1. Che partita deludente e amara per il calcio italiano. Spalletti sembrava perso, senza risposte, e la sua solitudine rifletteva il caos della squadra. La decisione della FIGC appare affrettata, ma forse era inevitabile. I nomi proposti per la successione non ispirano fiducia, sembrano più un ritorno al passato che una vera soluzione. Ma davvero pensiamo che cambiare l’allenatore risolverà i problemi strutturali del calcio italiano?

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