Il Paris Saint-Germain ha vinto la sua prima Champions League demolendo l’Inter con un 5-0 che entrerà nella storia. Una finale senza partita, giocata da una sola squadra, quella di Luis Enrique. I parigini hanno chiuso la stagione con un Triplete e un’identità fortissima, costruita non sulla somma dei talenti, ma sul funzionamento del collettivo. L’Inter, al contrario, è crollata davanti a se stessa, paralizzata dalla tensione e svuotata di idee.
Le formazioni erano quelle previste. Il PSG si è presentato con il solito 4-3-3 fluido: Donnarumma in porta, difesa con Hakimi, Marquinhos, Pacho e Nuno Mendes; in mezzo al campo Vitinha, Joao Neves e Fabian Ruiz; in attacco, Doué a destra, Kvaratskhelia a sinistra e Dembélé falso nove. L’Inter ha risposto col 3-5-2 di sempre: Sommer tra i pali, difesa con Pavard, Acerbi e Bastoni, Dimarco e Dumfries sugli esterni, Barella-Calhanoglu-Mkhitaryan in mezzo, Lautaro e Thuram in attacco. Due sistemi consolidati, due filosofie differenti. Ma solo una ha funzionato.
Il PSG ha preso subito il controllo del campo. Già nei primi dieci minuti il pallone viaggiava più veloce, le linee si muovevano in modo armonico, e l’Inter faticava anche solo ad affacciarsi nella metà campo avversaria. Il gol dell’1-0, al 12’, è stato un manifesto tattico: Vitinha ha spezzato la linea con un filtrante preciso, Doué ha tagliato da sinistra e servito Hakimi, che ha sfruttato l’errore di tempo di Dimarco e ha insaccato da due passi. Pochi tocchi, spazi occupati alla perfezione. La verticalità di Luis Enrique in tutta la sua efficacia.
Otto minuti dopo è arrivato il 2-0. Stavolta tutto nasce da un errore di Barella che, invece di proteggere il pallone per un corner, se lo fa rubare da Pacho. Il PSG riparte fulmineo, Kvaratskhelia allarga, Doué si accentra e calcia: il tiro, deviato ancora da Dimarco, beffa Sommer. In quel momento le statistiche sono impietose: 62% di possesso per i francesi, 13 tiri a 2, 5 nello specchio contro zero, e 1.42 xG contro 0.19. L’Inter è sparita dal campo. Barella, Calhanoglu e Mkhitaryan sembrano disconnessi, Lautaro non tocca palla, Thuram si muove senza costrutto. Inzaghi urla, gesticola, ma è come se la sua squadra non ci fosse.
Dembélé colpisce una traversa prima dell’intervallo, poi Doué sfiora la doppietta. L’Inter invece chiude il primo tempo con un solo tiro deviato da calcio d’angolo e il volto cupo di chi ha già capito l’andamento della serata. È come se fosse già tutto deciso.
Nella ripresa, invece di reagire, l’Inter affonda ancora. I primi cambi di Inzaghi sorprendono tutti: dentro quattro difensori in quindici minuti, compresi Bisseck, Zalewski, Carlos Augusto e Darmian. La squadra si trasforma in un ibrido privo di idee, e al 64’ arriva il terzo gol: Dembélé inventa un tacco illuminante, Vitinha trova ancora un varco tra le linee e Doué, sempre lui, sigla la doppietta con un altro destro secco. È il 3-0, e il dato dei passaggi completati conferma la supremazia parigina: 290 su 324 nel primo tempo (90%), 176 su 207 nella ripresa (85%). Un’orchestra.
Il quarto gol è pura accademia: minuto 73, contropiede perfetto, Dembélé lancia Kvaratskhelia che si accentra e trafigge Sommer col sinistro. È il gol che fa esplodere anche Napoli, forse, nel ricordo dolce e amaro di Kvara. Poco dopo, al 75’, arriva l’unico tiro in porta dell’Inter, firmato da Thuram e respinto da Donnarumma. È un lampo inutile, isolato in un mare di grigiore. Lautaro chiuderà la partita senza aver mai tirato, con 20 passaggi riusciti su 28 e uno xG+xA totale di 0.09.
All’87’ arriva il colpo di grazia: Mayulu, entrato da poco, taglia centralmente e segna il 5-0 sull’assist di Barcola. I gol sarebbero potuti essere anche sei o sette, se si considerano le occasioni sbagliate dallo stesso Barcola e da Kvaratskhelia. Il dato finale degli expected goals è di 3.12 per il PSG contro lo 0.49 dell’Inter. Un abisso.
Desiré Doué è stato il simbolo della serata. Classe 2005, 19 anni da compiere, due gol e un assist in finale. Ma non è stato solo lui: anche Vitinha ha dettato il tempo con geometrie verticali, Dembélé ha combinato estro e disciplina, Hakimi ha spinto e segnato, Pacho ha annullato Thuram. Il PSG ha vinto grazie al collettivo. Con Mbappé, forse, questa squadra non sarebbe stata così “squadra”.
L’Inter, invece, si è sfaldata. Nessuno ha retto: Acerbi ha chiuso con un cartellino giallo e la sensazione di impotenza, Barella è stato irriconoscibile, Calhanoglu sterile, Dimarco disastroso. Sommer, costretto a subire cinque gol, non ha avuto colpe, ma nemmeno la forza per salvare. Inzaghi è sembrato impotente, spaesato, incapace di leggere la partita. E forse anche rassegnato.
È una sconfitta che segna. Non tanto per il risultato – anche se nessuno aveva mai perso con cinque gol di scarto in finale – ma per le sue conseguenze. Perché, dopo una stagione interamente giocata ai vertici, in corsa su tutto, l’Inter chiude con zero titoli e una sensazione amara: quella di aver fallito sul più bello. Lo “zero tituli” adesso pesa. Non per forza deve significare smantellamento, ma costringerà tutti – società, allenatore, giocatori – a guardarsi dentro.
Intanto a Parigi si festeggia. Luis Enrique ha costruito una squadra vera, con età media 24 anni, capace di dominare ogni fase del gioco. Il PSG ha battuto Liverpool, Arsenal, Aston Villa e ora l’Inter. Lo ha fatto senza superstar, ma con una chiara identità. È la dimostrazione che nel calcio di oggi vince ancora chi sa cosa vuole diventare.
E ieri sera, l’unica squadra che sapeva cosa voleva essere, era il Paris Saint-Germain.
Non sono interista, ma questa non è stata una sconfitta: è stata un’umiliazione che resterà sempre impressa a fuoco nella storia nerazzurra. Il PSG era obiettivamente superiore, ma c’è modo e modo di affrontare un avversario più forte, e darsi per vinti dall’inizio è sempre il peggiore; si poteva fare parecchio di più, come, per esempio, puntare ad una strategia difensiva per tentare di ripartire in contropiede sfruttando gli spazi… non dico che si sarebbe vinta la partita nei 90 minuti, ma alla peggio si sarebbero subiti meno gol. Comunque la si pensi, questa è stata, a mio avviso, una gravissima mancanza di rispetto nei confronti di tutti i tifosi interisti, in particolar modo quelli seduti sugli spalti tedeschi