C’è un punto, in serate così, in cui la tentazione è arrendersi alla trama e non alla partita. Israele–Italia finisce 4-5, uno scoring da videogame, ma l’effetto non è l’esaltazione: è come guardarsi allo specchio e riconoscere un volto che non torna. L’Italia aggancia il secondo posto a 9 punti: la notizia è buona, tutto il resto è un promemoria severo.

Un primo tempo stonato

Il 4-3-3 iniziale di Gattuso nasce con l’idea di controllare palla e ampiezza, ma partorisce l’opposto: squadra lunga, corsie svuotate, uscite dal basso incerte. La fotografia è doppia e crudele: l’autogol di Locatelli (16’) su cross basso tagliato e, poco dopo, la traversa di Locatelli dall’altra parte (31’) su imbucata di Retegui. È una Nazionale che oscilla tra l’imprecisione strutturale e lampi isolati dei singoli. Numeri alla mano: nella prima frazione Israele produce di più (xG 0,63 a 0,23), ha il dominio emotivo e territoriale, mentre l’Italia non riesce a fissare riferimenti sulla destra — Politano resta spesso scollegato da Di Lorenzo — e prova a forzare a sinistra con Dimarco, senza quadrare le coperture dietro Bastoni. L’1-1 di Kean (40’), preparato dall’apertura intelligente di Retegui, è più una smentita localizzata della trama che l’inizio di un copione nuovo.

La sensazione è che l’ibridazione dei compiti — “si parte a quattro, si costruisce a tre, si alza il terzino, si stringe il braccetto” — faccia perdere i tempi naturali. Il sistema sembra chiedere ai giocatori di ricordare cosa cambiare più che cosa fare.

Il cambio di passo (e di forma)

Nella ripresa Gattuso sposta l’asse: la squadra si dispone in un 4-4-2 leggibile, con linee più corte e compiti più semplici. È la mossa più “da Nazionale” che si potesse immaginare: togli complessità, guadagni chiarezza. L’effetto è immediato. Kean raddoppia (55’) attaccando un errore in uscita; Politano firma il 2-3 (58’) su tacco di Retegui: azione breve, pulita, pensata per far arrivare palla in area con pochi tocchi. La partita gira davvero quando entrano Frattesi e Raspadori: il primo verticalizza, il secondo taglia alle spalle. Sul 2-4 (81’) di Raspadori, l’Italia sembra aver trovato la propria linea: punire gli errori israeliani, spostare il pallone velocemente sul lato forte, attaccare il cuore dell’area.

Eppure basteranno sei minuti per rimettere tutto in discussione: l’autogol di Bastoni (87’) e il colpo di testa di Dor Peretz (89’, doppietta) riportano il punteggio su un 4-4 che sa di resa mentale, più che tattica. È Tonali (90’+1) a rimettere in ordine l’assurdo: destro a giro dal limite, traiettoria che piega Daniel Peretz e un 4-5 che vale classifica e ossigeno.

Kean–Retegui, una coppia contemporanea

Ci sono vittorie che si spiegano nella scelta del front two. Kean e Retegui non sono complementari per stereotipo, lo sono per funzioni: allungano, si alternano nello smarcamento incontro, dividono l’area con intelligenza. Retegui lavora da “seconda punta moderna”: sponde, primi passaggi chiave, attacchi al primo palo senza occupare sempre il centro della scena; Kean gioca uno contro uno fisico e diretto, finalizza da distanze “italiane” (poco estetiche, molto concrete). I gol di Kean nascono da principi semplici: aggredire l’errore, arrivare prima. Gli assist (almeno due) di Retegui sono l’altra metà: tocco verticale, tempi corretti, pulizia.

In questa Nazionale, con poco tempo per codificare meccanismi complessi, il doppio riferimento centrale sta diventando la leva più affidabile. Da lì discende tutto: le corse a sostegno degli esterni, i tagli della mezzala forte (Frattesi), la minore necessità di risalire il campo a colpi di conduzioni rischiose.

Tonali, da mezzala a regista di contesto

La sua partita è una derivata: parte ingabbiato in un centrocampo che non trova linee di passaggio, cresce quando la squadra si abbassa di un mezzo metro e il campo si semplifica. A sinistra, “a piede dentro”, Tonali può ricevere, uscire dal traffico e decidere l’altezza dell’azione. Il gol del 4-5 è più di un gesto tecnico: è la firma di chi prende la responsabilità di chiudere il conto in una partita psicologicamente tossica. Nella ripresa l’Italia crea di più (xG 1,25 a 1,09, tiri 10 a 7), anche perché i palloni utili verso i 16 metri arrivano con traiettorie corte e prevedibili per chi attacca la porta. È la dimensione che esalta Tonali: meno “stazioni intermedie”, più verticalità ragionata.

La difesa: problema di uomini o di idea?

Due autogol in una partita sono sempre un’anomalia; quattro gol subiti in 90 minuti sono, invece, un indizio. Il tema non è solo individuale (Donnarumma insicuro nelle uscite, Bastoni in difficoltà a difendere “puro” a quattro, Di Lorenzo poco incisivo sulle letture in ampiezza): è collettivo. L’Italia concede perché fatica a stabilire le altezze della linea e il tempo della pressione sul portatore; quando le scalate sono tardive, il cross dal lato debole diventa una sentenza. Israele è entrata spesso in area con coordinate semplici — palla su Solomon, ricezione larga, immissione interna su Dor/Eliel Peretz — e l’Italia ha reagito, raramente anticipato.

Qui sta il primo bivio vero di Gattuso. O si accetta che l’ossatura difensiva “di club” di certi giocatori non sia trapiantabile as-is (Bastoni–Dimarco nascono e vivono in un 3 che protegge), e allora si cambiano le gerarchie; oppure si modella la Nazionale su quelle abitudini (con una linea a tre pensata per limitare le rotture) e si paga un dazio diverso a centrocampo. La via mediana, un 4 “fluido” che oscilla in costruzione, ha mostrato più confusione che vantaggi.

Alternative esistono: Calafiori offre una doppia competenza (terzino/centrale) che aiuta nelle uscite e nelle coperture, Cambiaso dà una lettura più ordinata del ruolo a destra, Gatti o un centrale più “marcatore” restituiscono fisicità nell’area piccola. Non è questione di nomi da manifesto, ma di coerenza: scegliere una coppia stabile, disegnare le coperture degli esterni, fissare la linea di intervento sul cross.

Questione di identità (e di misura)

È quasi paradossale: in due gare l’Italia ha segnato 10 gol, e nessuno può dire che gli azzurri abbiano un problema offensivo. Il problema è opposto: come evitare di trasformare ogni partita in un coin flip. Il 4-4-2 della ripresa è un promemoria utile: le Nazionali vivono di pochi concetti chiari, ripetuti. Blocchi stretti, distanza tra reparti ridotta, canali centrali presidiati, risalita con due o tre principi non negoziabili. Non è un arretramento ideologico: è aderenza al contesto. Se gli avversari ci aggrediscono in uscita, è legittimo saltare il primo pressing; se i terzini non hanno la stessa sincronia dei club, è sensato limitare gli scivolamenti più rischiosi; se il doppio nove funziona, si costruisce attorno a quello.

Il lato sano di Debrecen è aver visto una Nazionale che, quando la sceneggiatura si fa isterica, ha giocatori capaci di piegarla dalla propria parte: Kean che trasforma mezzo errore in gol, Retegui che tiene su la squadra col lavoro sporco, Tonali che chiude una partita che stava scappando di mano, Raspadori che entra e incide subito, Frattesi che verticalizza. Il lato preoccupante è non poter contare sul fatto che la partita non diventi, di default, isterica.

Cosa resta

Resta il risultato — pesante, necessario — e un cantiere. Gattuso ha già una certezza: la coppia d’attacco. Ne serve un’altra dietro: una linea che sappia difendere l’area senza collassare, e un’uscita codificata che non esponga i centrali a continui duelli scoperti. L’Italia non deve somigliare all’Italia migliore degli ultimi anni per nostalgia; deve somigliarle per efficienza: poche cose fatte bene. In una qualificazione corta, la virtù non è l’invenzione: è la misura. Debrecen, per una volta, ha regalato gol e punti. Ma il Mondiale non si conquista con il ribattino: si conquista togliendo variabili al caos. E smettendo di specchiarsi in lui.

Un commento su “Israele–Italia 4-5: il caos come specchio

  1. Commento impeccabile come sempre. Personalmente non sono affatto ottimista. Il lavoro da compiere è complesso e Gattuso potrebbe faticare parecchio a trovare la quadra. E noi tempo non ne abbiamo. Non possiamo sbagliarne una.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *