In altri tempi, il risultato dell’andata avrebbe messo il PSG in una posizione di grande privilegio. Quando vigeva la regola del gol in trasferta, vincere fuori casa senza subire gol voleva dire avere un grandissimo vantaggio in vista della partita di ritorno. Da quando – giustamente – si è tolto questo vantaggio, un solo gol di scarto è poco e la seconda partita è tutta da giocare.
Questo deve aver pensato Mikel Arteta, preparando la trasferta del suo Arsenal a Parigi. “Partiamo forte, pareggiamo il gol, giochiamocela”. Il piano gara che abbiamo visto nella semifinale di ritorno è stato più o meno questo. I primi 15 minuti di PSG-Arsenal hanno visto un dominio degli inglesi con un possesso palla quasi del 70% e già 5 tiri. Di questi, almeno 2 sventati alla grandissima da Donnarumma.
Il portiere del PSG è stato uno dei grandi protagonisti della cavalcata fino alla finale e anche in questa partita ha mantenuto standard altissimi. Davanti a lui, la linea difensiva è andata spesso in affanno. Marquinhos e Pacho, senza punti di riferimento, si sono dovuti arrangiare, aiutando sugli esterni Nuno Mendes e Hakimi. Se il terzino portoghese ha vissuto una serata complicata contro Saka (meno del 50% di duelli vinti, sia a terra che aerei), dall’altra parte l’ex Inter ha contenuto Martinelli e al 72’ ha messo la firma con un gran gol. Prima di questo, il PSG aveva avuto l’occasione di raddoppiare, ma Vitinha – dopo una discutibile danza – ha fallito il rigore, parato da Raya.
La rete del vantaggio è giunta vicino alla mezz’ora grazie a Fabián Ruiz, che controlla e tira segnando una rete agevolata da una leggera deviazione. Il gol dei padroni di casa “anestetizza” la partita. L’Arsenal perde slancio e sicurezze, come nel caso dell’occasione per Barcola generata da una leggerezza di Lewis-Skelly. I due terzini dei Gunners sono stati uno dei punti deboli: nonostante un meccanismo rodato di accentrarsi per favorire i movimenti di Rice e Martinelli, il giovane numero 49 ha giocato una partita modesta, tanto quanto il suo collega Timber, che se non altro ha messo a referto due cross.
Il problema principale dell’Arsenal è stata la mancanza di un centravanti. Se in altre circostanze l’utilizzo di Trossard o quello, meno dinamico ma più fisico, di Merino avevano sopperito, in questo doppio confronto il vuoto si è fatto sentire. All’andata, Trossard si era reso protagonista dell’azione che aveva portato Donnarumma a compiere una delle tante difficili parate, ma nel complesso non aveva fornito appoggio per i compagni. Merino, riferimento spurio al centro dell’attacco, doveva dare incisività soprattutto sui palloni alti e doveva sommare la propria fisicità a quella di Thomas e Rice. Il primo squillo è stato proprio dello spagnolo, con un colpo di testa a lato, poi il nulla. Tanto movimento, qualche appoggio, ma ovviamente l’assenza di possibilità di fungere da perno o riferimento centrale per l’inserimento dei centrocampisti.
Infatti, se si esclude una conclusione pericolosa in avvio, ancora una volta Ødegaard non è stato determinante, ma questa volta anche Rice ha deluso. L’eroe del quarto di finale con il Real Madrid ha buttato molti palloni (0 cross su 7 tentativi) e ha vinto solo 2 duelli su 8. La fisicità doveva essere l’arma in più contro il trio Ruiz-Vitinha-Neves, è risultato inoffensivo.
L’unico a non mollare è Bukayo Saka, che trova a un quarto d’ora dalla fine il gol che avrebbe potuto riaprire la partita. Purtroppo per lui e per l’Arsenal, cinque minuti dopo arriva male a porta spalancata e mette alto il pallone della vera speranza.
Il PSG va in finale con merito perché nelle due partite è stato superiore tatticamente e ha sfruttato le migliori occasioni. In realtà, non si è vista una distanza enorme tra le due squadre, a riprova che il lavoro di Arteta è stato molto buono. È mancato un centravanti di livello e questo dovrà essere l’obiettivo principale del prossimo mercato.
Luis Enrique insegue un’altra Champions League, il PSG la sua prima. Finalmente, dopo anni di esperimenti, sono diventati una squadra con uomini, non uomini in una squadra.