“Il Pisa sono io“, ripeteva sempre, e non c’era nulla di più vero. Se il club nerazzurro ha scritto alcune delle pagine più memorabili della sua storia, il merito è indubbiamente di Romeo Anconetani, un uomo che ha plasmato il destino della squadra toscana con la stessa intensità con cui ha vissuto la sua esistenza. Nella sua lunga e tumultuosa presidenza, Anconetani non solo ha reso il Pisa una realtà consolidata nel panorama calcistico italiano, ma ha anche incarnato una filosofia, un’epoca che non è mai stata dimenticata. Un calcio ruspante, un calcio che, a suo modo, rappresentava l’anima di una provincia che osava affrontare a testa alta i giganti.
La sua storia inizia a Trieste, il 27 ottobre 1922, in un’Italia ancora scossa dal secondo conflitto mondiale. Anconetani, che si forma come disegnatore artistico, si avvicina al calcio negli anni post-bellici, unendosi alla società Le Signe di Signa, in IV Serie, e successivamente all’Empoli, dove diventa protagonista di alcune innovazioni come la prevendita dei biglietti. Ma è negli anni Cinquanta che Anconetani comincia davvero a fare scuola. Con il Prato, diventa il primo in Italia a organizzare i treni speciali per i tifosi e a calcolare le medie dei voti sui calciatori, intuendo il potenziale di un archivio che sarebbe diventato leggendario. Nonostante un’amara radiazione per illecito sportivo, si reinventa come consulente, un mestiere che lo porta a essere considerato “il precursore dei procuratori” grazie alla sua rete di contatti e alla sua infinita capacità di mediazione. Il suo “Archivio Anconetani” diventa l’ossatura di una carriera di successi, permettendogli di lavorare con i più grandi club italiani dell’epoca, come Torino, Napoli, Fiorentina e Palermo.
Arrivato a Pisa nel 1973, Anconetani si innamora della squadra e decide di rilevarne la proprietà nel 1978, con uno stratagemma che gli consente di aggirare la radiazione calcistica, nominando formalmente il figlio Adolfo presidente. Ma dal momento in cui si lega al Pisa, il suo nome è indissolubilmente legato alla squadra. Da quel momento, il club nerazzurro entra in una fase di ascesa che lo porta a diventare uno dei protagonisti della Serie A, a dispetto delle difficoltà economiche e della sua mancanza di fondi imprenditoriali. Con lui, il Pisa conosce quattro promozioni in massima serie, raggiungendo un invidiabile undicesimo posto nel 1982-83, il miglior piazzamento della sua storia.
Anconetani è il cuore pulsante di quella che è stata un’era indimenticabile per il Pisa. Nonostante la sua figura autoritaria e talvolta dispotica, i tifosi lo adorano, vedendo in lui un vero e proprio “padrone” del club. Con un’incredibile visione, porta a Pisa alcuni dei migliori giocatori dell’epoca: Klaus Berggreen, Wim Kieft, Dunga, Diego Simeone. Laddove altri presidenti si rifugiavano nell’immobilismo finanziario, Anconetani costruisce un impero calcistico fatto di scouting, intuizioni e affari. A lui si deve anche il lancio di allenatori come Mircea Lucescu e Giuseppe Materazzi. Ma la sua leadership, per quanto di successo, è segnata da uno spirito che non ammette discussioni: se non si vince, è colpa di tutti, dai giocatori agli allenatori, passando per i giornalisti. Le sue continue scariche di energia, tra sfuriate e amarezze, fanno sì che nella sua gestione si alternino ben ventidue allenatori in sedici anni.
Se la sua passione per il Pisa non ha mai avuto limiti, lo stesso non si può dire del suo rapporto con il mondo esterno. La sua naturale predisposizione a confrontarsi con i giornalisti è spesso esplosiva, e la sua ironia tagliente non risparmia nessuno. Tuttavia, sotto la scorza dura di un presidente capace di gestire la squadra come una famiglia, si nasconde un lato profondamente religioso e scaramantico, tanto che ogni partita è preceduta da una serie di riti, tra cui lo spargimento di sale sul prato dell’Arena Garibaldi. La sua figura di “vescovo mancato” non è solo una battuta, ma un’autodefinizione che si lega alla sua concezione del calcio come rito collettivo, quasi sacro.
Nonostante la sua abilità manageriale, Anconetani è un uomo che vive la sua epoca con intensità. Gli anni Ottanta sono gli anni di gloria per il Pisa, con la partecipazione a competizioni europee come la Mitropa Cup, vinta due volte, e il coinvolgimento diretto nelle tournée internazionali. Ma, nel cuore di tutto, c’è sempre l’amore per il suo Pisa. L’arena, che oggi porta il suo nome, è il teatro di un sogno calcistico che, purtroppo, non è destinato a durare. La discesa del club in Serie B nel 1991 segna la fine di un’era, e nonostante i tentativi di risollevare la squadra, come la folle idea di fondere Pisa e Livorno in un’unica entità, il “Pisorno”, la fine arriva nel 1994, con il fallimento del club.
Oggi, a distanza di decenni, il ritorno del Pisa in Serie A riaccende i ricordi dell’era Anconetani, ma non c’è dubbio che quei tempi siano irripetibili. La sua figura di “Presidentissimo”, tra il genio e l’impulsività, ha segnato un’epoca che, nel bene e nel male, ha avuto un impatto indelebile sulla storia del calcio toscano. Romeo Anconetani ha fatto vivere al Pisa il periodo più glorioso della sua storia, portandolo in prima fila tra i grandi. E se oggi il club cerca di rinnovarsi, non potrà mai dimenticare che, nel cuore dei suoi tifosi, la sua essenza rimarrà sempre legata a quel nome, a quel volto, a quel calcio che fu.