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Il modello RedBird: organizzazione, utilizzo dei dati e progetto sportivo

Di Enrico Bertilorenzi

Il tema degli algoritmi applicati allo sport e all’utilizzo dei dati nel calcio, assomiglia al rapporto tra la macchina fotografica e la fotocamera del cellulare. Dieci, quindici anni fa la qualità della fotografia che poteva dare la fotocamera del cellulare era molto bassa. In cambio però era uno strumento nuovo, molto pratico e alla portata di tutti. Oggi rimane un bel divario, ma anche con una fotocamera si possono fare buone foto.

La mia impressione è che l’utilizzo massivo dei dati come strumento preferenziale di studio nel calcio attualmente si addica a chi ha bisogno di un risultato immediato, una istantanea su un aspetto del gioco o su un singolo giocatore, per chi non ha tempo o risorse per costruire una rete di scout che giri il mondo. Oggi l’utilizzo dei dati applicati al calcio è divenuta una componente fondamentale, le cui capacità di risposta sono enormemente maggiori rispetto ad anni fa. Ma nella “fotografia” che queste analisi scattano, spesso si perdono i dettagli. E il calcio è uno sport che si basa decisamente sui dettagli.

Un giorno arriveremo magari ad avere strumenti molto-molto complessi, capaci di dare risultati ottimi. Ma attualmente siamo ancora lontani da questo giorno e stiamo vivendo una fase di transizione che, come tutte le fasi di transizione, soffre di “eccitazione da nuova scoperta”. Siamo cioè nello stesso momento di dieci anni fa, quando i più entusiasti preferivano comprare un telefono per scattare le foto piuttosto che una macchina fotografica.

Il progetto di Cardinale intende guidare questa fase di transizione e dare luce a un modello organizzativo che possa essere preso da esempio in futuro. E in che cosa consista questo progetto è stato proprio lui a spiegarcelo: nel corso di una delle sue tante dichiarazioni pubbliche, Cardinale ha esplicitato la sua intenzione di importare al Milan un modello ibrido tra scouting tradizionale e scouting analitico, tra occhio umano ed analisi dei dati, nella scelta dei giocatori e nella gestione degli aspetti sportivi della squadra. Per applicare con profitto questo modello ibrido, tuttavia, si devono risolvere tre ordini di problemi:

  • – valutare il livello di efficacia degli stessi strumenti analitici, conoscerne i loro punti di forza e i loro limiti;
  • – rispondere alla necessità, insita nel voler applicare uno schema ibrido, di dover far lavorare insieme proficuamente strumenti differenti di studio;
  • – la questione della competenza e della conoscenza della materia, sia dal punto di vista tecnico che analitico, che deve essere presente ad ogni livello.


Dietro all’efficacia o meno degli algoritmi ci sono due principali questioni: come vengono impostati e come si va ad interpretare i risultati. Per creare un buono strumento serve a monte una capacità di lettura e di comprensione non banale delle dinamiche profonde del calcio. Questo fatto mi permette di arrivare a una conclusione preliminare della mia riflessione. Per far sì che questo piano di Cardinale funzioni, paradossalmente, a noi sembra mancare la cosa più importante di tutte per farla funzionare: le valutazioni qualitative da parte di persone professionalmente esperte e competenti nel gioco del calcio.

Il Liverpool può permettersi una scommessa come Slot (e il Bayern può permettersi di scegliere Kompany) perché hanno una macchina da guerra a livello di organizzazione, strutturata in modo scientifico, con professionalità di prim’ordine posizionate in ogni possibile micro-settore del calcio. È uscito a tal proposito un articolo del NY Times che spiega il funzionamento della struttura del Liverpool e del processo decisionale che hanno portato alla scelta di Slot. Al Liverpool esiste un CEO del settore calcio, specializzato esclusivamente in questo ambito e con una comprovata esperienza, che supervisiona una struttura composta da un Direttore Sportivo, un Direttore Tecnico e un altro Direttore incaricato dello sviluppo sportivo. L’allenatore, insieme al suo staff, riferisce direttamente al Direttore Sportivo. Hanno poi un ramo finanziario separato, che dialoga certamente con quello sportivo, ma lo fa su basi formalmente paritarie. Esso è composto da un CEO del settore finanziario, un Managing Director e un Direttore Commerciale. Entrambi questi rami rispondo alla proprietà.

In questa situazione, chi si occupa di questioni finanziarie è strutturalmente estraneo alle decisioni tecniche. Al Milan, invece, esiste un Team di lavoro con un unico CEO (Furlani) che partecipa alle decisioni tecniche insieme al Direttore Sportivo (D’Ottavio), al Direttore Tecnico (Moncada) e a un consulente esterno della proprietà (Ibrahimovic), che a quanto si dice dovrebbe supervisionare il lavoro di tutti gli altri.

Non solo l’organizzazione, ma anche la scelta del personale è differente. Dove al Liverpool ogni casella è occupata da professionisti con formazione specifica, competenza ed esperienza nel loro ambito, noi abbiamo come Presidente una figura a cavallo tra il mondo dell’impresa e quello della politica, come CEO un dirigente che nella vita faceva il portfolio manager di Elliot, come Direttore Sportivo uno che fino a ieri faceva l’osservatore, come Direttore Tecnico un capo scout e come Consulente esterno uno che fino all’anno scorso faceva il calciatore. Non è proprio la stessa cosa.

Torno alla questione dei dati e la ricollego con il tema dell’organizzazione societaria. Noi, in verità, non abbiamo una struttura, ma abbiamo una doppia struttura: una interna al club – quella di cui parlavo – e una esterna.

RedBird possiede infatti questa società di analisi dati che si chiama Zelus analytics e che fin dal primo giorno è stata presentata come un supporto all’area tecnica del Milan. Al Tolosa era questa società a prendere le decisioni sportive, per stessa ammissione di Cardinale. La domanda che mi pongo adesso è la seguente: quanto peso ha Zelus analytics nelle decisioni sportive che vengono prese? Essa potrebbe essere sia una struttura di semplice supporto oppure, come inizio a pensare, una struttura con potere decisionale.

La pulce all’orecchio me l’ha messa qualche settimana fa una notizia, nella quale si diceva che, dopo la cacciata di Maldini e Massara, il Milan avesse prima cercato di ingaggiare Giuntoli, poi Sartori, e che entrambi avessero poi declinato. Giuntoli aveva già un accordo con la Juve, ma Sartori? Perché non è venuto al Milan?

Io mi do questa risposta: i direttori sportivi veri non vengono a lavorare da noi non tanto per i limiti di spesa o la manifesta poca ambizione della proprietà; essi non vengono per l’ingerenza di questa struttura esterna e per il fatto che, essendo esterna e facendo capo direttamente alla proprietà, essi non sono messi nella condizione di poter modificare, implementare, mettere bocca o mano sul lavoro che viene fatto da questa azienda. Il paradosso che non permette al team integrato di coinvolgere personalità dalla comprovata esperienza e di lavorare secondo un metodo basato sull’autonomia-responsabilità dei suoi singoli componenti, permettimi l’ironia, consiste proprio nella mancata integrazione di questo gruppo di lavoro che risulta esterno alla società Milan.

Non avendo dunque trovato professionalità di ruolo da inserire nelle giuste caselle, e dovendo prendere decisioni in tempi stretti – la stagione stava iniziando – si è pensato ad apportare una riorganizzazione interna. Unendo i puntini, Moncada e D’Ottavio non sono altro che un ripiego. E allora, siamo proprio sicuri che la scelta di figure così inesperte in ruoli così importanti non abbia – volutamente o meno – spalancato le porte ad un aumento ingerenza proprio di Zelus analytics nel processo decisionale delle scelte tecniche? Siamo proprio sicuri che le decisioni di campo siano state prese in autonomia dalla nostra dirigenza sportiva?

Provando a fare un’analisi spicciola, un poco anche sul filo della provocazione, basata sul mercato fatto questa estate e tenendo a mente quelli che possono essere i difetti strutturali di un modello di scouting basato esclusivamente sull’analisi dei dati, forse possiamo trovare alcune risposte.

Il mercato di questa estate, quasi unanimemente, è stato giudicato come caratterizzato dall’acquisto di giocatori bravi se presi singolarmente, a cui è mancata un amalgama, e nella cui selezione non si è tenuto probabilmente conto di aspetti importanti a livello tattico e nelle caratteristiche degli stessi.

Nonostante i vantaggi evidenti che l’analisi dei dati apporta nel migliorare la scelta dei giocatori (che ne spiegano anche l’estrema diffusione nelle società di calcio), l’utilizzo dei dati nello scouting, se usato in modo esclusivo o se non supportato dalle giuste competenze tecniche, presenta diversi problemi intrinseci.

  • – Un problema di questo processo può derivare, ad esempio, dalla mancanza di contesto: un calciatore che gioca in una squadra forte avrà naturalmente migliori statistiche rispetto a uno che gioca in una squadra debole. E noi quante volte abbiamo scherzato questa estate su chi vedeva Musah come un perfetto mediano incontrista basandosi sulle partite di qualificazione fatte con la nazionale statunitense?
  • – Un altro problema può derivare da quelli che sono i bias intrinseci del modello statistico. Noi possiamo, ad esempio, pensare ragionevolmente che un giocatore alto e strutturato fisicamente sia portato a vincere contrasti e a vincere duelli di testa, ma non è detto che ciò avvenga… e un giocatore come RLC sembrerebbe dimostrarlo.
  • – Esistono poi aspetti del gioco che difficilmente i dati possono cogliere, come il carisma, la leadership e la capacità di gestire la pressione. E quante volte noi ce lo siamo detto che i nuovi acquisti, pur bravi, scompaiono nelle partite importanti?
  • – Un altro fattore umano che difficilmente viene colto da un’analisi prettamente analitica è quella dell’adattabilità di un calciatore ad un contesto diverso, sia a livello ambientale, che di stile di gioco. E questo forse spiegherebbe come mai un giocatore come Chukwueze, che nel contesto del Villlareal faceva vedere ottime cose, quest’anno abbia avuto grandi difficoltà.
  • – Infine, i dati storici che vengono utilizzati nel gestire gli infortuni e il loro recupero non sempre riescono a predire correttamente come un giocatore si riprenderà o come manterrà la forma fisica nel tempo. Questa estate si diceva per l’appunto che Zelus analytics avrebbe avuto un ruolo di supporto anche in questo ambito. Siccome abbiamo avuto tanti problemi sotto questo punto di vista – che per verità fanno parte da sempre della gestione Pioli – possiamo dire quantomeno che questo supporto non ha portato ad apprezzabili miglioramenti rispetto agli anni passati.

 

La mia impressione è dunque che questo esperimento di ibridazione tra scouting tradizionale e scouting analitico non stia funzionando come dovrebbe e che questo dipenda dalla mancata integrazione di Zelus analytics in un sistema coerente di lavoro. Ed è un problema difficile da superare se consideriamo che una delle principali innovazioni metodologiche che Cardinale avrebbe voluto portare consiste proprio nella esternalizzazione – parziale ma cospicua – dell’analisi dei dati.

Mi avvio alla conclusione e arrivo alla questione dell’allenatore. È risaputo che i nostri dirigenti, ad un certo punto della stagione, fossero stupiti dalle eccessive critiche che il percorso della squadra stava ricevendo e che fino all’ultimo abbiano sperato che vi fossero le condizioni per poterlo riconfermare sulla panchina del Milan. Alla fine della fiera, secondo una lettura piuttosto fredda, Pioli è un allenatore che con il quarto payroll della Serie A chiude il campionato in seconda posizione e che con il quarto payroll del nostro girone di CL chiude terzo.

Le considerazioni tecniche sul suo prossimo sostituto le hai fatte tu in un video e sono estremamente condivisibili: i nostri dirigenti cercavano un allenatore che potesse sistemare alcuni aspetti del nostro gioco ma che, allo stesso tempo, potesse dare continuità al lavoro fatto da Pioli. Essi erano inoltre alla ricerca di un profilo che – aggiungo – potesse anche confermare la bontà del mercato dello scorso anno ed evitare stravolgimenti di rosa, quindi essere coerente con la strategia dei puntellamenti esposta da Furlani in una delle sue ultime interviste.

Arriva dunque Fonseca che, con l’ottavo payroll della Ligue 1, ha chiuso il campionato al quarto posto. E, al di là di considerazioni tecniche, è probabilmente la sua capacità di “adattamento” – chiamiamola così – ad aver particolarmente colpito i nostri dirigenti. E su questo non solo hanno insistito molto i giornali, ma soprattutto nessuno in società ha pensato di far filtrare una lettura diversa dei motivi di questa scelta.

Fonseca ci viene presentato infatti come un allenatore senza velleità di essere accentratore e che quindi – tradotto – si rende disponibile a lavorare con questa doppia struttura, a delegare sia la parte del mercato e della scelta dei profili, sia quella della preparazione atletica e degli infortuni. Non mi addentro in considerazioni esagerate, ma ritengo lecito sospettare che pure l’organizzazione tattica in campo sia in qualche modo consigliata da uno studio dei dati inerente all’occupazione degli spazi, alla pericolosità di alcune trame rispetto ad altre, ecc.

Ma, ad ogni modo, quello che mi preme sottolineare è che Fonseca, per il modo in cui intendono lavorare, è probabilmente una scelta più che logica. Guai a definirla una “scelta a caso”.

Il tifoso è portato ad essere deluso da questa scelta, ad elencare gli allenatori bravi che sarebbero potuti arrivare e a confrontarli con la profilo di Fonseca. Il punto è che questa proprietà non era alla ricerca del profilo migliore possibile. Non era intenzione di questa proprietà ridisegnare l’organizzazione societaria, rivoluzionare il metodo di lavoro.

La nostra proprietà era invece alla ricerca di un profilo che potesse al meglio interpretare e tradurre nel concreto quello che è il loro progetto, la loro organizzazione e il loro metodo di lavoro, che bisogna considerare come dato e solo parzialmente modificabile.

In questo senso, è lo stesso Cardinale ad aver chiarito questo punto: “non bisogna cambiare, ma far evolvere le cose”.

Cambiare le cose avrebbe voluto dire rivedere i rapporti tra la dirigenza sportiva e Zelus analytics, cercare nuove strade di ibridazione tra scouting tradizionale e scouting analitico, e quindi a cascata potersi permettere una figura di carriera a direzione dell’area sportiva – con deleghe ed autonomia – e un allenatore la cui scelta sarebbe avvenuta attraverso una combinazione di parametri tecnico-tattici ed economici, e sulla quale non avrebbero avuto un grande peso aspetti di tipo organizzativo.
Una scelta questa che avrebbe maggiormente tenuto in considerazione i fattori caratteriali dell’allenatore, le specificità del campionato appena trascorso, il morale e le aspettative non solo della piazza, ma anzitutto dei calciatori.

Evolvere significa invece aggiustare un modello ritenuto valido, migliorare alcuni aspetti che si sono rivelati nel frattempo critici, accogliere magari alcune specifiche innovazioni, ma senza cambiare strada, senza rivedere l’idea di ibridazione che hanno in mente loro e l’organizzazione che è allo stesso tempo risultato ed elemento fondante di questa idea.

Di questa evoluzione fa parte anche l’introduzione di Ibrahimovic nel quadro dirigenziale. Un’aggiunta che, se letta in questi termini, assume una spiegazione, come assume una spiegazione anche una certa oscurità insita nel suo ruolo. Egli è stato posto come consulente esterno del club nell’intento di inserire una figura di raccordo. Un ruolo che ci è stato spiegato in due occasioni: attraverso il comunicato, elencando ogni singola questione nella quale avrebbe potuto avere un ruolo operativo; tramite le parole dette da Cardinale all’evento del Financial Times, nelle quali ci è stato presentato con la vaga formula del proxy, “la voce di Cardinale”, sostanzialmente un rappresentante della proprietà nei rapporti con i vari dipendenti.

L’oscurità è appunto insita nel suo ruolo, essendo lui una figura di riferimento che potremmo definire – a seconda delle sfumature che vogliamo adottare – come supervisore, coordinatore, facilitatore, supplente, tappabuchi, rispetto a una struttura organizzativa che però non ci viene espressamente presentata nella sua forma reale.

Ibrahimovic è stato chiamato come parte del processo di evoluzione, come figura di raccordo tra l’anima RedBird e quella Milan della nostra organizzazione, tra le esigenze del campo e le letture analitiche, tra l’allenatore e il gruppo, tra l’area commerciale e quella sportiva. Non certamente come figura dotata di un chiaro mandato ed incaricata di mettere in piedi un nuovo progetto sportivo, un nuovo metodo di lavoro, una nuova organizzazione societaria come magari certi tifosi, sobillati da certi organi di stampa, hanno sperato.

I tifosi oggi sono scontenti. Volevano un progetto sportivo vincente, personalità competenti e con esperienza – e quindi una struttura chiara e una chiara linea di demarcazione tra le responsabilità dei singoli –, un allenatore di alto profilo scelto sulla base di valutazioni tecniche, tattiche ed ambientali.

Forse più modestamente, la nostra proprietà era invece alla ricerca di un profilo che garantisse coerenza con il metodo di lavoro dato, che potesse dare continuità alle scelte fatte in precedenza e, più in generale, che potesse far rendere al meglio – e possibilmente rendere vincente – il loro progetto basato, per quello che concerne il lato economico, sull’osservanza di rigidi parametri finanziari e, sul lato campo, su una doppia struttura dirigenziale e sulla sperimentazione di un sistema ibrido di scouting e di gestione dell’area sportiva.

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