Raccontare Inter-Barcellona 2025, riedizione della semifinale del 2010, è un compito arduo. Farlo a chi non ha visto la partita, quasi impossibile. Le differenze con quella sfida di quindici anni fa sono notevoli, perché all’epoca sia l’Inter che il Barcellona erano due squadre mature, consapevoli, forti in modo diverso. Oggi, le due squadre condividono solo l’ultima delle caratteristiche.
L’Inter è una squadra nel senso più stretto del termine, come si è visto nello spirito di sacrificio infinito di tutti, dall’immarcescibile Acerbi al generosissimo Thuram. Il Barcellona, forse figlio di quella squadra, si trova invece all’inizio di un percorso. Ha pagato non solo un atteggiamento scriteriato, presentato al pubblico come ‘filosofia’, ma anche l’età media bassa di un gruppo che potrà scrivere la storia del club negli anni a venire, a patto di darsi regole e atteggiamenti più concreti. La partita è stata tante cose, soprattutto una combinazione di episodi e mentalità. A un primo tempo caratterizzato dal doppio vantaggio nerazzurro firmato Martinez e Calhanoglu, ha fatto da contraltare una ripresa in cui il Barcellona è salito in cattedra, scendendo poi con una scossa di adrenalina che ha fatto tremare San Siro: nel giro di un minuto si è passati dal possibile 2-4 al 3-3. Prima, però, ci sono stati molti altri momenti.
Un’Inter capace di pareggiare nei primi minuti l’intensità degli avversari grazie a un piano di gioco chiaro, con alcune modifiche rispetto al solito. Se lo sbocco principale della manovra offensiva doveva essere – ovviamente – le ripartenze, Inzaghi ha scelto di spingere sul lato destro, dove Dumfries ha potuto trovarsi in un duello impari con Gerard Martin. Quella parte del campo ha deciso la sfida: due assist per l’interista, altrettanti per il blaugrana. Al di fuori di quella zona, il compito di far risalire rapidamente il campo era affidato a Barella e Calhanoglu.
Mentre il primo ha coperto come sempre ampie zone di campo, pagando in termini di precisione (solo 13 passaggi precisi su 26) e creando qualche grattacapo alla propria difesa, il turco ha giocato la prima frazione leggermente più avanti nella fase di non possesso rispetto al solito. Questo atteggiamento derivava dalla volontà di Inzaghi di avere il suo regista pronto e qualche metro più avanti per innescare il contropiede. In realtà, il risultato di questa strategia è stato modesto, sia per la scarsa precisione nei lanci lunghi – solo il 32% con 7 passaggi riusciti su 22 – sia per quanto riguarda i cross, con appena 1 su 4 a segno. Inoltre, la linea molto alta del Barcellona costringeva Lautaro e Thuram a rimanere molto lontani dalla porta di Szczesny. Come spesso accade a chi antepone la tecnica alla pratica, nonostante il 66% di possesso palla e 6 tiri totali da parte dei ragazzi di Flick, è l’Inter a trovare il vantaggio dopo venti minuti, con Martinez servito da Dumfries, a sua volta assistito da Dimarco e dal suo recupero in zona trequarti. Alla fine, lo sviluppo previsto con contropiedi per sorprendere il Barcellona a campo aperto si è trasformato in una pressione alta ben organizzata, ma negli ultimi 30 metri.

Il motivo è presto spiegato: 69% di passaggi riusciti per l’Inter, un dato che tiene conto della pressione degli avversari e di una certa fretta nel voler ripartire. Alla fine del primo tempo, dopo alcune occasioni per il Barcellona, il raddoppio di Calhanoglu su rigore sembrava mettere la parola fine alla contesa. In realtà, non si è considerata una caratteristica dell’Inter delle ultime settimane, né il carattere straordinario dei ragazzi di Inzaghi.
Ciò che accade nel secondo tempo è la conseguenza di una squadra molto tecnica e disperata contro una che da tempo ha la spia della riserva accesa. L’Inter abbassa naturalmente il proprio baricentro, difende bassa e spera di poter gestire qualche contropiede, ma incappa nella peggiore situazione possibile: il gol rapido degli avversari. La rete di Eric Garcia è bella e destabilizzante, tanto quanto il suo errore poco dopo, con Sommer coprotagonista di quello che sarebbe potuto essere il 2-2.
Ancora una volta, il gol arriva dal lato destro della difesa dell’Inter. Mkhitaryan perde l’inserimento di Dani Olmo, che sfrutta l’ottimo assist di Martin e batte Sommer. Siamo a un’ora di gioco: il Barcellona gira la palla con maggiore rapidità rispetto al primo tempo, i nerazzurri sembrano a corto di fiato e la sensazione predominante è che il gol dei ragazzi di Flick possa arrivare da un momento all’altro, magari ad opera di Lamine Yamal.
Il talento spagnolo ha completato il maggior numero di dribbling (14), subito il maggior numero di falli (7), vinto 23 uno contro uno su 26, più 9 tiri e un passaggio chiave. In sostanza, da solo, ha fatto ciò che generalmente un intero reparto offensivo fa in un paio di partite. Ciò che è mancato è il gol, prima negato dal palo e poi da Sommer.

Ripristinata la parità, la gara non cambia copione. Dopo lo spavento per un rigore inizialmente assegnato e successivamente annullato, Simone Inzaghi toglie Lautaro e inserisce Taremi (che risulterà prezioso nel finale di partita), accompagnato dall’esperienza di Darmian al posto di Bisseck. Il muro regge, ma, al netto di un contropiede fermato per fuorigioco proprio di Taremi, tra la stanchezza e la botta psicologica dei due gol subiti, la pioggia che scende su San Siro sembra quella delle serate beffarde. A dodici minuti dalla fine entrano Zielinski e, soprattutto, Frattesi, l’uomo della provvidenza. Anzi, il secondo uomo della provvidenza per l’Inter. Perché il primo ha un altro cognome e un altro nome: Acerbi Francesco. Prima di arrivare a uno dei momenti più significativi della storia nerazzurra, almeno di quella recente, Inzaghi e i suoi devono affrontare un pugno rifilato e uno potenzialmente letale, da incassare.
Dopo una lunga ricerca della profondità, dopo gli interventi di Sommer e dopo aver combattuto contro una delle fasi difensive migliori del pianeta, il Barcellona trova il 2-3 con Raphinha, dopo una partita in cui il brasiliano è stato più alla ricerca di una posizione che incisivo nel gioco. Il suo sinistro trova il portierone svizzero, il suo destro no. A quel punto, con pochi minuti da giocare, con la lingua fuori e la pioggia che batte su un pubblico afflitto, tutto sembra apparecchiato per lanciare i catalani verso Monaco. Ma non avevano fatto i conti con due fattori: il primo, il Dio del calcio, che aveva deciso da tempo che a passare doveva essere l’Inter; il secondo, come detto, Acerbi.
L’arbitro concede 5 minuti di recupero; dopo due arriva il palo di Yamal, dopo tre la rete di Acerbi, che anticipa Araujo e certifica la pessima fase difensiva del Barcellona. La presunzione di Flick, ancora mascherata da ‘filosofia‘, lo aveva portato a inserire Lewandowski per Ferran Torres al 90’, senza soluzione di continuità.

Quello che accade nei supplementari è già storia. Ancora a caccia del ‘Grande Libro della Fase Difensiva‘, le cui copie a Milano sono state saccheggiate dall’Inter, Frattesi, al minuto ’99, ha tempo di controllare quasi nell’area piccola, sistemarsi il pallone sul sinistro, prendere la mira e segnare. La botta psicologica che alla fine dei regolamentari avrebbe dovuto abbattere l’Inter si riversa sul Barcellona. Le occasioni di Lewandowski e Yamal sono il certificato che serate come questa rimarranno nella storia dell’Inter, del calcio e della Champions League.
7 a 6 il computo totale, un doppio confronto che ha regalato la magia dell’imperfezione e ha promosso la squadra più quadrata, ‘cazzuta’ e pronta a superare qualsiasi ostacolo, con l’aiuto mai disprezzato del Dio del Calcio.