Ci sono momenti in cui le parole contano più delle operazioni. Perché le parole, specie quando non sono dette a caldo ma preparate con cura in una conferenza, riflettono visioni, approcci, priorità. Ed è su questo piano che si possono leggere le recenti dichiarazioni di Giorgio Furlani e Igli Tare, due figure oggi centrali nel nuovo assetto del Milan. Ma centrali in modo profondamente diverso.

 

Furlani e l’illusione del controllo

Furlani si presenta come amministratore che “crede nella centralità del calcio”, salvo poi rimettere ogni scelta sportiva dentro i recinti dei “paletti” economici, delle “risorse da allocare”, dei “parametri”. Un linguaggio che nasconde l’essenza della visione RedBird: l’apparente equilibrio tra sostenibilità finanziaria e competitività sportiva, che si traduce però, nei fatti, in un costante esercizio di compensazione al ribasso.

Non c’è mai, nelle parole dell’amministratore delegato, una reale presa di posizione strategica, ma solo una continua razionalizzazione delle scelte fatte. Si cede Theo? È normale, voleva cambiare. Si rinnova Pulisic? Bene, ma non è un’urgenza. E quando si parla di Maignan, si dice che è centrale, ma poi “giudicheranno i risultati”. Tutto è fluido, tutto è “in essere”. Nulla è definitivo. Nulla è pienamente dichiarato.

C’è poi il tentativo di riabilitare l’immagine di Ibrahimovic, oggi quasi trasformato in entità metafisica: non dirigente, non tecnico, non ambasciatore. “Sta a livello di proprietà”, dice Furlani. Una definizione che più che chiarire, complica. Perché conferma l’ambiguità sistemica: chi prende le decisioni sportive? Chi detta la linea? Chi risponde degli errori?

La verità è che la tanto sbandierata “unità” tra società, allenatore e direttore sportivo appare, per ora, più come una dichiarazione di intenti che un modello consolidato. E soprattutto non scioglie il nodo di fondo: chi risponde quando il progetto non funziona?

 

Tare e la costruzione funzionale

Diverso il piano su cui si muove Igli Tare. Diverso, ma non per forza migliore. Tare non vende suggestioni: descrive dinamiche tecniche, esigenze di reparto, criteri di scelta. Parla della mancanza di leadership nello spogliatoio, dell’importanza di profili esperti da affiancare ai giovani, della necessità di inserire un mediano basso per il 4-3-3 di Allegri. C’è coerenza interna. Il quadro tattico è chiaro. Ma è un progetto di calcio molto pragmatico, senza fronzoli. Senza “identità”, se vogliamo usare una parola che oggi va di moda.

Il Milan che Tare e Allegri stanno impostando è una squadra che punta all’equilibrio, alla compattezza, alla gestione della partita. Nessuna rivoluzione, nessun cambio di paradigma. Ma un adattamento tecnico progressivo, con giocatori “di sistema”, più che di talento. Un Milan che cerca Modric per il carisma, non per la corsa. Che pensa a Xhaka o Jashari per la solidità, non per lo sviluppo offensivo. Un Milan che, anche sul centravanti, non cerca un nome da copertina ma una funzione tattica precisa: uno che “sta in area”, che “fa salire la squadra”.

Tutto giusto, tutto comprensibile. Ma è calcio funzionale. Non ambizioso. E nemmeno troppo evoluto. In questo senso, le dichiarazioni di Tare sono oneste: ci dicono che l’idea è costruire una squadra che “torni competitiva”, non una squadra che incanti. È la linea Allegri, applicata al Milan. Una linea che può portare risultati, ma che certo non riscalda il cuore dei tifosi.

 

Un’assenza che pesa

In tutto questo, resta un’assenza ingombrante: quella della progettualità dichiarata. Non esiste, né da parte di Furlani né da parte di Tare, una visione articolata del futuro del Milan nei prossimi tre anni. Esiste solo la gestione dell’oggi: aggiustare, sistemare, equilibrare, senza mai alzare lo sguardo. Il mercato come manutenzione, non come costruzione. Il campo come laboratorio, non come identità.

E intanto, sotto il cappello della “non rivoluzione”, stanno andando via tutti i giocatori più spendibili. Uno dopo l’altro. Con l’unica vera certezza rappresentata da Leão, che però – anche lui – viene messo nel limbo: “non ci sono offerte”, ma tutto può succedere. Ancora una volta, si resta in sospensione.

 

Il Milan oggi si presenta con un management che controlla, che monitora, che calibra. Ma che non accende. Furlani parla come un dirigente che ha sempre bisogno di giustificare ogni virgola. Tare parla come un tecnico che ha un compito e lo porta a termine. Allegri proverà a far quadrare i pezzi. Ma il punto è un altro: chi detta la visione generale? Chi dice dove vogliamo andare, e come ci arriviamo?

Per ora, restano parole. E un Milan che, nella sua pretesa di normalità, rischia di diventare sempre più irrilevante.

Un commento su “Furlani, Tare e la nuova faccia del Milan: tra governance opaca e calcio funzionale

  1. Ciao Rinaldo
    Penso che questo atteggiamento derivi dalla necessità di poter vendere appena se ne presenterà l’occasione, quindi nessun progetto a medio/lungo termine, solo gestione a breve termine cercando di spendere il meno possibile.

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