Rinaldo Morelli

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Chi vuole bene al Milan?

Non sempre una stagione che inizia all’insegna della malinconia finisce male. Ci sono stati casi nei quali un tecnico poco amato si è dimostrato all’altezza, dissipando le nubi che si erano addensate sulla sua testa dal momento dell’annuncio.

Paulo Fonseca è arrivato a Milano sotto un cielo limpido, senza nuvole. È arrivato in sordina, abbigliamento “Casual Saturday”, sorriso cordiale. Fonseca è così, una persona cordiale. Chissà se al tecnico portoghese sono giunte le voci di un malumore diffuso tra i tifosi della sua nuova squadra. Chissà se Fonseca avrà la forza per resistere ad un ambiente slegato, dove probabilmente sarà solo prima del previsto.

Anzi, stando all’accoglienza (senza un dirigente di primo livello ad aspettarlo) possiamo ipotizzare che Fonseca sia GIÀ solo. Il suo predecessore, Stefano Pioli, venne scaricato rapidamente, quando da Casa Milan si lasciava intendere che a meno di tracolli sarebbe stato ancora lui alla guida dei rossoneri. La solitudine è compagna degli allenatori ma cattiva aiutante dei successi e delle vittorie.

Una squadra vincente, prima di tutto, ha una società forte. Per “società forte” si intende un gruppo di professionisti capaci di legare l’ambiente verso l’obiettivo, di prendere decisioni importanti, di costruire una squadra competitiva e tenerla per tutta la stagione sulla retta via. I presupposti, al momento, sembrano non esserci.

In questi giorni post disastro Europeo, il Corriere dello Sport ha pubblicato uno sferzante editoriale che sottolineava l’inadeguatezza di alcuni calciatori che in Germania hanno fatto una pessima figura. I loro social sono stati inondati di immagini festanti, come se quello che è accaduto a Berlino non appartenesse a loro.

Nulla di male in linea di principio, anzi in linea con i princìpi della società contemporanea. Quelli più vecchietti o bacchettoni (scegliete voi) hanno alzato il sopracciglio rilevando se fosse opportuno o meno. Allo stesso modo, il weekend di vacanza di Zlatan Ibrahimovic coinciso con l’arrivo di Fonseca a Milan ha sollevato dubbi sull’opportunità di avere un dirigente “social” come lui.

In realtà, sappiamo bene come IIbrahimovic sia dirigente di sé stesso in primis. Il racconto della sua incidenza sulle decisioni è, per l’appunto, un racconto. Lui rappresenta l’immagine, è il frontman, quello che “basta se ne parli, bene o male non ha importanza”. Nell’estate difficile dei milanisti, fatta di attesa per un colpo di prospettiva che ancora non c’è, tutto questo non aiuta ed è inopportuno.

Non sappiamo come operano i nostri dirigenti, non sappiamo se le difficoltà apparenti siano solo racconto giornalistico oppure verità. La sensazione che percepiamo è quella di un immobilismo dettato dai soliti vincoli, dai soliti limiti imposti da una proprietà che fa dell’amara continuità il suo marchio di fabbrica.

In una stagione dai presupposti differenti, dove molte squadre cercano il rilancio, rischiare di partire male è pericoloso. Lato tecnico, servirà tempo per assimilare le richieste di Fonseca; lato mercato, la squadra ha bisogno di innesti che ne equilibrino la rosa e la rinforzino.

La manfrina sul centravanti ha contribuito a soffiare sul fuoco. Lo spiraglio di un investimento in prospettiva aveva quasi concesso credito a Furlani & Co., il ritorno alla realtà è stato brusco seppur non inaspettato.

Un inizio di stagione in tono decisamente minore, senza tifosi al raduno, senza nuovi acquisti, con un allenatore che vive a Milanello. Anche questo fatto, probabilmente concordato e senza alcun secondo fine, lascia spazio all’ironia. Tutti i pezzi del puzzle Milan sembrano comporsi per mostrare un’immagine opaca, senza ambizioni. La scelta di un numero 9 “d’esperienza e a basso costo” rimanda alle parole di Scaroni sul piazzamento vitale, Scudetto casuale.

Non c’è stato fino ad ora nessun balzo in avanti, nessun fatto che ci possa permettere di approcciare alla prossima stagione con entusiasmo. A misurare la febbre del tifo rossonero non sono sufficienti gli abbonamenti a San Siro, numero che andrebbe analizzato per capire davvero perché ciò accade. Nessuna colpevolizzazione rispetto a chi ha deciso di fare o rinnovare, ci mancherebbe, ma non è quella la misura che racconta l’attesa.

Ripartiamo dal titolo di questo scritto: chi vuole bene al Milan? Noi, sicuramente. Fonseca, speriamo. Il resto è difficile immaginarlo struggersi per l’impossibilità di spendere oltre i canonici 20-25M + bonus, marchio di fabbrica della gestione Elliott/RedBird.

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