Prima del calcio d’inizio aleggiavano due domande semplici e pesanti: come avrebbe reagito l’Inter di Chivu dopo il KO di Napoli? E la Fiorentina di Pioli — a corto di fiducia e di punti — sarebbe riuscita a tenere San Siro sul piano emotivo oltre che tattico?
Chivu ha scelto la via della continuità strutturale: 3-5-2 con Sommer alle spalle di Akanji–Bisseck–Bastoni, Dumfries e Dimarco larghi, Barella e Sučić ai fianchi di Çalhanoğlu regista, davanti Lautaro con Pio Esposito. Pioli ha risposto con un 3-5-1-1 molto prudente: De Gea tra i pali, Comuzzo–Pablo Marì–Viti dietro, Dodô e Gosens quinti, Ndour–Sohm–Mandragora in mezzo, Gudmundsson a legare e Kean unico riferimento profondo. L’idea viola era chiara: abbassare i ritmi, compattarsi in 5-3-2/5-4-1 a palla persa, schermare il centro e vivere di transizioni corte su Dodô e Kean.
La prima ora ha confermato il copione: dominio territoriale nerazzurro (62% di possesso nel primo tempo, 66% nel secondo) e De Gea a tenere in piedi la gara con interventi “di piede” da portiere di futsal su Bastoni (26’) e Dimarco (34’), poi ancora su Dumfries e Bisseck a inizio ripresa. Qui c’è già un punto tattico: l’Inter ha creato le chance migliori quando è riuscita a isolare l’esterno sul lato debole, dopo aver attirato pressione a sinistra con le solite catene Bastoni–Dimarco–Lautaro. La Fiorentina ha difeso stretta, ma ha sofferto ogni volta che l’Inter è riuscita a cambiare lato con tempi corti e ricezione in corsa: Dumfries, pur impreciso nei cross, ha attaccato spesso alle spalle di Gosens e Viti, costringendo Mandragora ad allargarsi e “scardinando” l’equilibrio del terzetto centrale.
L’Inter ha costruito quasi sempre in 3+2: Çalhanoğlu si è alternato tra il centro della prima costruzione e il corridoio di mezzo, Barella e Sučić occupavano le mezze corsie pronte a ricevere tra le linee. Lautaro si è mosso tanto “corto”, attirando un braccetto e liberando il corridoio per la mezzala di lato. La Fiorentina ha provato a schermare con Sohm su Hakan e con uscite aggressive di Mandragora su Barella; l’idea ha funzionato finché la densità centrale è rimasta alta e i raddoppi sulle corsie sono arrivati con i tempi giusti. Ma il prezzo è stato un possesso praticamente nullo: al 45’ i viola avevano prodotto 0.10 xG, chiaro segnale di un piano esclusivamente reattivo, con Kean isolato (saranno 23 i suoi tocchi in 90’).
La partita si è sbloccata nel modo più coerente con le premesse: qualità individuale dentro un contesto di dominio territoriale. Al 66’ Barella trova Çalhanoğlu all’ingresso dell’ultimo terzo; il turco finta su Fazzini e incrocia di destro. Qui la Fiorentina paga la prima vera lettura sbagliata del suo blocco: il mediano esce ma senza copertura dietro, Viti resta basso a protezione dell’area, nessuno “stringe” la zona tiro. L’1-0 è anche la fotografia del valore aggiunto di Hakan in questa Inter: regista nella salida, rifinitore e finalizzatore quando il possesso si alza (chiuderà con 2 gol, 3 chance create, 11 passaggi nell’ultimo terzo e 1.30 xGOT complessivo).
Cinque minuti dopo, la giocata che indirizza il match: Lautaro riceve spalle alla porta sul mezzo spazio, protegge e appoggia a Sučić; il croato “lavora” l’uomo con una suola e col destro chiuso sul primo palo batte De Gea. Azione semplice e pulita, ma con tre dettagli che raccontano l’Inter di Chivu: 1) la ricezione di Lautaro fra le linee per manipolare un centrale; 2) la presenza di una mezzala dentro alla zona di rifinitura (non solo a riempire l’area), 3) l’aggressione immediata del varco creato dal capitano. Sul piano viola è un altro indizio: Mandragora è costretto di nuovo a uscire lateralmente, il terzetto dietro resta in parità numerica e Comuzzo esita mezzo passo di troppo.
Sul 2-0 Pioli prova a rianimare la fase offensiva con Fagioli e Fazzini per dare qualità al primo appoggio, e qualcosa succede: due transizioni pulite e un paio di palle laterali per Kean (45’ e 82’), più il colpo di testa di Comuzzo su corner (80’). Sono però fiammate isolate dentro un quadro in cui l’Inter controlla meglio le seconde palle (Akanji da metronomo occulto: 89/96 passaggi, 18 nell’ultimo terzo) e pulisce l’area con Bisseck, molto solido nei duelli aerei e nelle letture frontali. Sommer, di riflesso, vive una serata quasi da spettatore: 0.27 xGOT affrontati, due parate standard, nessun intervento fuori scala.
Il finale si chiude sulla gestione e sull’episodio: Bonny attacca la profondità su verticalizzazione di Lautaro, Viti lo stende in area, secondo giallo e rigore. Çalhanoğlu completa la doppietta dall’11 metri, 3-0 e pratica archiviata. Anche qui, oltre al gesto tecnico, resta la traccia tattica: Inter che “lega” corto con il 9 e poi verticalizza sul 9 di riserva per colpire una linea ormai sfilacciata, segno di una squadra che sa alternare possesso posizionale e attacco diretto senza perdere ordine.
Ricapitolando il quadro numerico: 22 tiri totali Inter (8 nello specchio), 2.63 xG complessivi a fronte di 0.71 viola; 24 tocchi nerazzurri in area nella ripresa contro i 9 della Fiorentina; De Gea regge finché può (3.75 xGOT affrontati, 0.75 gol “evitati”), ma la diga crolla quando la squadra perde compattezza tra i reparti. A livello individuale, oltre a Çalhanoğlu, pesano Bastoni (progressioni e lanci: 10/12 “long passes”), Dimarco come solito attivatore sul lato forte, e una prova “di sistema” di Barella e Sučić: il primo alza ritmo e pulizia dell’ultimo passaggio, il secondo aggiunge minaccia verticale e tiro dalla trequarti.
Che cosa ci dice la partita? Che l’Inter ha trovato la reazione che cercava senza dover snaturare il proprio impianto. La squadra ha sofferto meno i blocchi bassi rispetto a Napoli perché ha saputo cambiare lato con tempi più rapidi e perché le mezzali hanno occupato gli half-spaces con più continuità. Se vogliamo essere pignoli, resta un piccolo tema di conversione nelle fasi di assedio del primo tempo: servirebbe un pizzico di varietà in più dentro l’area (tagli sul primo palo, “riempimento” a tre in zona dischetto) quando l’avversario difende in massa. Ma l’Inter ha dominato campo, seconda palla e qualità delle occasioni: è una vittoria “da grande” per come è maturata e per la pulizia con cui è stata gestita dopo l’1-0.
La Fiorentina, al contrario, esce con due certezze e un problema. Le certezze: la fase difensiva posizionale, finché ha avuto energie e densità centrale, e la serata di De Gea e Pablo Marì (98% di precisione, 12 azioni difensive) che hanno tenuto il punteggio vivo. Il problema è il resto: uscita dal basso fragile, transizioni povere, Gudmundsson troppo lontano dalla porta, Kean lasciato a nuotare tra tre centrali con pochi rifornimenti puliti. Senza una minaccia reale in conduzione centrale o un riferimento “di sponda” che alzi la squadra, il 5-3-2 a protezione diventa una trincea che prima o poi cede.
In prospettiva, l’Inter arriva a Verona con la sensazione di aver rimesso a posto la bussola: ritmo, catene laterali e leadership dei suoi uomini cardine. Alla Fiorentina, aspettando il Lecce al Franchi, serve invece un piano d’uscita più strutturato e la capacità di tenere il pallone in zone “respirabili”. Difendersi e basta, a questi livelli, regge un’ora. Poi parlano i dettagli — e la qualità.